Sulle tracce della mitica Diana
I luoghi del mito di Diana, delle navi di Caligola e dell’antico Emissario sono stati la meta della prima escursione tra natura e cultura organizzata da Sagre & Profane
Il minuscolo Lago di Nemi, in mezzo ai boschi, veniva chiamato dagli antichi “Specchio di Diana”. In tempi remoti, questo paesaggio agreste era teatro di una misteriosa e ricorrente “tragedia”. Sulla sponda settentrionale del Lago, proprio sotto i dirupi scoscesi ai quali si aggrappa la Nemi odierna, sorgevano il Bosco Sacro e il Santuario di Diana Nemorense, la Diana dei Boschi. All’interno del Santuario cresceva un albero di cui era proibito spezzare i rami. Solo ad uno schiavo fuggitivo era concesso di cogliere una delle sue fronde. Se riusciva nella sua impresa, acquistava il diritto di battersi con il sacerdote e, se lo uccideva, di regnare in sua vece con il titolo di Re del Bosco (Rex Nemorensis). La fronda fatale era quel Ramo d’Oro che, per ordine della Sibilla, Enea colse prima di affrontare il periglioso viaggio nel mondo dei morti. Il rituale della trasmissione del potere nel bosco di Diana, considerato dai Latini terra di nessuno e quindi di tutti, garantiva il patto comunitario tra le città latine perchè il re del Bosco Sacro, essendo uno schiavo, non aveva né antenati e né eredi e quindi il suo potere non poteva essere trasmesso come quello di un vero re.
L’odierno scavo del Santuario di Diana è meta da non perdere: ci si giunge attraverso strade diverse, tutte particolarmente belle e suggestive dove alla specialità del paesaggio si coniuga un’atmosfera che riporta indietro nel tempo: una primo percorso è il circuito che da Via Perino, a Genzano, scende lungo le coste del lago e poi, in senso antiorario, percorre tutto il periplo del lago e si ricongiunge con la stessa Via Perino. Un altro itinerario, anche se più faticoso, è quello che dalle Piagge, sempre a Genzano, arriva a Fontan Tempesta e da qui, attraverso il sentiero di Diana, raggiunge le coste del lago all’altezza della zona dove sorgono i resti del tempio.
Lungo il primo percorso una prima tappa è consigliata sulle rive del lago all’altezza di un primo slargo, frequentato da pescatori e da pochi bagnanti, da cui si possono osservare degli estesi canneti, dominati dalle Cannucce di palude e i caratteristici Platani che bordano le rive del lago. Peculiare è la presenza dell’Ontano Nero. Tale pianta, utilizzata per il consolidamento di pendici franose, viene utilizzata sia in edilizia, per costruzioni in terreni sommersi, che in medicina: infatti la sua corteccia è usata per far diminuire la temperatura corporea e come succedaneo della china. I versanti interni e soleggiati della caldera sono ricoperti invece da lembi di leccete, che rappresentano la vegetazione originaria che ricopriva un tempo gran parte dell’orlo dell’antico cratere. Il lago ospita il Germano Reale e, durante il periodo invernale, piccoli gruppi di uccelli acquatici: Folaghe, Svassi maggiori, Cormorani; mentre lungo la vegetazione delle rive è possibile vedere la Gallinella d’acqua.
Il percorso prosegue in senso antiorario sino a raggiungere un punto del lungolago in cui la strada curva a sinistra ed all’altezza di un piccolo slargo, gira a destra e imbocca una stradina più stretta che prosegue in leggera salita, per deviare quasi subito a sinistra su un viottolo che porta al Santuario di Diana. Attualmente del famoso Santuario e del suo Tempio si conservano pochissimi resti ed è quindi difficile immaginare le sue grandissime dimensioni – occupava una superficie complessiva di almeno 8-10 ettari – pur potendone intuire la bellezza e l’ unicità. Il Tempio era situato al centro di tale immensa area la cui sacralità ha segnato il territorio nemorense per tutto il periodo romano, fino a rendere sacri i boschi, selve impenetrabili, proibite ai profani al punto che l’imperatore Caligola, per aggirare il divieto di costruire sulla terra, fece realizzare sul lago due navi con funzione di vere e proprie case galleggianti.
Proprio il Museo delle Navi Romane è la terza tappa consigliata per chi volesse intraprendere questo percorso. Infatti la storia delle navi di Caligola non è meno affascinante e misteriosa di quella del Bosco Sacro e del mito di Diana.
Le navi, nonostante numerosi e costanti studi, sono ancora avvolte dal mistero. Erano infatti troppo grandi per navigare in un lago come quello di Nemi e sul ponte erano stati costruiti edifici di cui non si conosce la forma e neanche le funzioni. Furono costruite tra il 39 e il 41 d.C., con una accuratezza e una precisione a dir poco impressionanti. Basti pensare che a bordo era stata ritrovata una gru, la cui base, per girare, sfruttava già la tecnica dei moderni cuscinetti a sfera. Alla morte dell’imperatore Caligola, le navi furono affondate nel lago, per cancellarne la memoria. Il loro recupero, tentato fin dal 1446 da Leon Battista Alberti, avvenne tra il 1928 ed il 1931 prosciugando una parte del lago e, per questo, considerato in quel tempo una delle scoperte più incredibili dell’archeologia moderna. Tutto questo andò perso nella notte del 31 maggio del 1944 quando alcuni tedeschi in fuga dettero fuoco al Museo distruggendo il favoloso tesoro che conservava. Non possiamo fare a meno di sognare e pensarle ancora lì quelle navi e il loro museo annoverati tra siti più visitati d’Italia come la Torre di Pisa, il Foro Romano e il Colosseo. Ci dobbiamo contentare di una fama ridotta e comunque promuovere e far conoscere il Museo delle navi che rimane di estremo interesse per appassionati o cultori della storia romana. Non a caso su questo stesso giornale gli è stata dedicata una scheda ed un interessantissimo articolo, a cui rimandiamo, pubblicato nel numero 61 della rivista con il titolo “Nemi dei misteri”.
Dopo la visita al Museo, si percorre un lungo tratto asfaltato in direzione Genzano, per poi scendere rapidamente fino a raggiungere, tra i campi coltivati e la riva del lago, il manufatto d’imbocco dell’antico Emissario. Di questo, costruito per regolare il livello del lago, non si conosce l’ effettiva data di costruzione; tuttavia è possibile affermare, con quasi assoluta certezza, che la sua realizzazione fu opera degli abitanti della città di Aricia intorno al V secolo a.C. Quando gli Aricini decisero di costruire il Santuario di Diana, nacque l’esigenza di bonificare la zona in quanto estremamente paludosa a causa delle periodiche oscillazioni delle acque. Fu così che si decise per la costruzione dell’emissario, sfruttandolo in tal modo anche per l’irrigazione della valle sottostante. Per rendersi conto della grandiosità dell’ opera basti pensare che si sviluppa per ben 1653 metri, con un dislivello tra l’entrata e l’uscita di 12,63 metri. Una volta uscite dal condotto, le acque venivano incanalate in un fosso all’aperto lungo circa 2100 metri, per poi di nuovo interrarsi nel cosiddetto cunicolo aricino, lungo 610 metri, per sfociare finalmente in mare, nei pressi di Ardea, dopo un percorso di circa 15 chilometri.
Lasciata l’area dell’Emissario, la passeggiata continua lungo le coste del lago. Qui, tra maggio e luglio, è possibile assistere alla fioritura spontanea della Ginestra Odorosa dal colore giallo brillante e trovare esemplari di Alaterno, detto anche “legno puzzo” in quanto il suo legno emana un odore sgradevole. Ha fiori giallo-verdastri e frutti costituiti da una drupa arrotondata, delle dimensioni di un pisello, dapprima rossa poi nerastra a maturità, in autunno.
In breve si arriva così al punto di partenza; un sentiero di 7 km che si percorre in circa due ore attraversando quasi 1000 anni di storia tutti scanditi dal culto della Diana Nemorense.
Il minuscolo Lago di Nemi, in mezzo ai boschi, veniva chiamato dagli antichi “Specchio di Diana”. In tempi remoti, questo paesaggio agreste era teatro di una misteriosa e ricorrente “tragedia”. Sulla sponda settentrionale del Lago, proprio sotto i dirupi scoscesi ai quali si aggrappa la Nemi odierna, sorgevano il Bosco Sacro e il Santuario di Diana Nemorense, la Diana dei Boschi. All’interno del Santuario cresceva un albero di cui era proibito spezzare i rami. Solo ad uno schiavo fuggitivo era concesso di cogliere una delle sue fronde. Se riusciva nella sua impresa, acquistava il diritto di battersi con il sacerdote e, se lo uccideva, di regnare in sua vece con il titolo di Re del Bosco (Rex Nemorensis). La fronda fatale era quel Ramo d’Oro che, per ordine della Sibilla, Enea colse prima di affrontare il periglioso viaggio nel mondo dei morti. Il rituale della trasmissione del potere nel bosco di Diana, considerato dai Latini terra di nessuno e quindi di tutti, garantiva il patto comunitario tra le città latine perchè il re del Bosco Sacro, essendo uno schiavo, non aveva né antenati e né eredi e quindi il suo potere non poteva essere trasmesso come quello di un vero re.
L’odierno scavo del Santuario di Diana è meta da non perdere: ci si giunge attraverso strade diverse, tutte particolarmente belle e suggestive dove alla specialità del paesaggio si coniuga un’atmosfera che riporta indietro nel tempo: una primo percorso è il circuito che da Via Perino, a Genzano, scende lungo le coste del lago e poi, in senso antiorario, percorre tutto il periplo del lago e si ricongiunge con la stessa Via Perino. Un altro itinerario, anche se più faticoso, è quello che dalle Piagge, sempre a Genzano, arriva a Fontan Tempesta e da qui, attraverso il sentiero di Diana, raggiunge le coste del lago all’altezza della zona dove sorgono i resti del tempio.
Lungo il primo percorso una prima tappa è consigliata sulle rive del lago all’altezza di un primo slargo, frequentato da pescatori e da pochi bagnanti, da cui si possono osservare degli estesi canneti, dominati dalle Cannucce di palude e i caratteristici Platani che bordano le rive del lago. Peculiare è la presenza dell’Ontano Nero. Tale pianta, utilizzata per il consolidamento di pendici franose, viene utilizzata sia in edilizia, per costruzioni in terreni sommersi, che in medicina: infatti la sua corteccia è usata per far diminuire la temperatura corporea e come succedaneo della china. I versanti interni e soleggiati della caldera sono ricoperti invece da lembi di leccete, che rappresentano la vegetazione originaria che ricopriva un tempo gran parte dell’orlo dell’antico cratere. Il lago ospita il Germano Reale e, durante il periodo invernale, piccoli gruppi di uccelli acquatici: Folaghe, Svassi maggiori, Cormorani; mentre lungo la vegetazione delle rive è possibile vedere la Gallinella d’acqua.
Il percorso prosegue in senso antiorario sino a raggiungere un punto del lungolago in cui la strada curva a sinistra ed all’altezza di un piccolo slargo, gira a destra e imbocca una stradina più stretta che prosegue in leggera salita, per deviare quasi subito a sinistra su un viottolo che porta al Santuario di Diana. Attualmente del famoso Santuario e del suo Tempio si conservano pochissimi resti ed è quindi difficile immaginare le sue grandissime dimensioni – occupava una superficie complessiva di almeno 8-10 ettari – pur potendone intuire la bellezza e l’ unicità. Il Tempio era situato al centro di tale immensa area la cui sacralità ha segnato il territorio nemorense per tutto il periodo romano, fino a rendere sacri i boschi, selve impenetrabili, proibite ai profani al punto che l’imperatore Caligola, per aggirare il divieto di costruire sulla terra, fece realizzare sul lago due navi con funzione di vere e proprie case galleggianti.
Proprio il Museo delle Navi Romane è la terza tappa consigliata per chi volesse intraprendere questo percorso. Infatti la storia delle navi di Caligola non è meno affascinante e misteriosa di quella del Bosco Sacro e del mito di Diana.
Le navi, nonostante numerosi e costanti studi, sono ancora avvolte dal mistero. Erano infatti troppo grandi per navigare in un lago come quello di Nemi e sul ponte erano stati costruiti edifici di cui non si conosce la forma e neanche le funzioni. Furono costruite tra il 39 e il 41 d.C., con una accuratezza e una precisione a dir poco impressionanti. Basti pensare che a bordo era stata ritrovata una gru, la cui base, per girare, sfruttava già la tecnica dei moderni cuscinetti a sfera. Alla morte dell’imperatore Caligola, le navi furono affondate nel lago, per cancellarne la memoria. Il loro recupero, tentato fin dal 1446 da Leon Battista Alberti, avvenne tra il 1928 ed il 1931 prosciugando una parte del lago e, per questo, considerato in quel tempo una delle scoperte più incredibili dell’archeologia moderna. Tutto questo andò perso nella notte del 31 maggio del 1944 quando alcuni tedeschi in fuga dettero fuoco al Museo distruggendo il favoloso tesoro che conservava. Non possiamo fare a meno di sognare e pensarle ancora lì quelle navi e il loro museo annoverati tra siti più visitati d’Italia come la Torre di Pisa, il Foro Romano e il Colosseo. Ci dobbiamo contentare di una fama ridotta e comunque promuovere e far conoscere il Museo delle navi che rimane di estremo interesse per appassionati o cultori della storia romana. Non a caso su questo stesso giornale gli è stata dedicata una scheda ed un interessantissimo articolo, a cui rimandiamo, pubblicato nel numero 61 della rivista con il titolo “Nemi dei misteri”.
Dopo la visita al Museo, si percorre un lungo tratto asfaltato in direzione Genzano, per poi scendere rapidamente fino a raggiungere, tra i campi coltivati e la riva del lago, il manufatto d’imbocco dell’antico Emissario. Di questo, costruito per regolare il livello del lago, non si conosce l’ effettiva data di costruzione; tuttavia è possibile affermare, con quasi assoluta certezza, che la sua realizzazione fu opera degli abitanti della città di Aricia intorno al V secolo a.C. Quando gli Aricini decisero di costruire il Santuario di Diana, nacque l’esigenza di bonificare la zona in quanto estremamente paludosa a causa delle periodiche oscillazioni delle acque. Fu così che si decise per la costruzione dell’emissario, sfruttandolo in tal modo anche per l’irrigazione della valle sottostante. Per rendersi conto della grandiosità dell’ opera basti pensare che si sviluppa per ben 1653 metri, con un dislivello tra l’entrata e l’uscita di 12,63 metri. Una volta uscite dal condotto, le acque venivano incanalate in un fosso all’aperto lungo circa 2100 metri, per poi di nuovo interrarsi nel cosiddetto cunicolo aricino, lungo 610 metri, per sfociare finalmente in mare, nei pressi di Ardea, dopo un percorso di circa 15 chilometri.
Lasciata l’area dell’Emissario, la passeggiata continua lungo le coste del lago. Qui, tra maggio e luglio, è possibile assistere alla fioritura spontanea della Ginestra Odorosa dal colore giallo brillante e trovare esemplari di Alaterno, detto anche “legno puzzo” in quanto il suo legno emana un odore sgradevole. Ha fiori giallo-verdastri e frutti costituiti da una drupa arrotondata, delle dimensioni di un pisello, dapprima rossa poi nerastra a maturità, in autunno.
In breve si arriva così al punto di partenza; un sentiero di 7 km che si percorre in circa due ore attraversando quasi 1000 anni di storia tutti scanditi dal culto della Diana Nemorense.
scritto da Maurizio Bocci |
Per la rubrica Beni ambientali – Numero 66 novembre 2007