Oh my darling “Clementine”!
I segni dell’acqua nella Genzano del Settecento
La medesima acqua della fontana più grande, opera dello stesso Bracci, situata al di sopra dell’odierna piazza Frasconi, al centro dell’Appia fino alla seconda metà dell’ ottocento e poi spostata più in là per evitare intralci. Negli ultimi decenni del secolo XVIII la stessa acqua fu condotta anche verso altre fontane e fontanili di Genzano, nelle piazze allora dette del Macello e dell’Osteria e nel pubblico Lavatore.
Ma il monopolio dell’acqua a quei tempi, dentro il bacino del lago di Nemi, era tenuto dalla nobile casata dei Frangipane signori di Nemi, e solo dopo diversi anni, a fronte di incalzanti richieste e pressioni, questi feudatari furono “costretti” a cedere al popolo di Genzano parte dell’acqua che copiosa sgorgava dalle sorgenti della conca del lago. Per questa concessione furono inviate suppliche a vari Papi tra cui Alessandro VII nel 1659, Clemente XI (papa tra il 1700 e il 1721) e ancora a Clemente XIII che fu papa dal 1758 al 1769.
Proprio a quest’ultimo, in quegli anni, fu indirizzata una supplica da parte dei rappresentanti della terra di Genzano, diocesi di Albano, che illustra chiaramente la difficile situazione del tempo non senza alcune curiosità nell’esporre gli argomenti a sostegno della richiesta che chiamano in causa la pubblica decenza e lo scandalo, fino alla violata onestà delle donne che devono lavare i panni “mezze nude” e vengono infastidite e molestate dai giovanotti. Ecco la trascrizione di alcuni passi.
“Li pubblici rappresentanti della terra di Genzano Diocesi di Albano sudditi ed O.ri umilissimi della S.V. prostrati a suoi santissimi piedi in nome di tutto quel Popolo con il maggior ossequio espongono ritrovarsi quel Pubblico in estrema penuria di Acqua, e per provedere alli domestici bisogni sono obbligate le povere Donne per lo più giovani e Zitelle andare a provederne nel fontanile esistente per la strada che conduce alla Chiesa di Galloro distante dal Paese circa un miglio per strada tutta circondata da folti Boschi, e similmente per lavare li panni, ed imbiancare le tele sono costrette a portarsi fino alla riva del lago di Nemi, e Genzano per scoscesi viottoli situati nel folto de’ boschi, quali circondano ancora tutta la riva di esso lago, ove le Donne sono necessitate lavare ginocchioni, e mezze nude sopra pietre dentro l’acqua.
Il male fosse unicamente ristretto all’incommodo, e dispendio temporale, sarebbe assai meno insoffribile; il colmo della miseria Beatissimo Padre consiste principalmente nel dispendio spirituale. Quali e quanti scandali siano da tutto ciò derivati con pregiudizio dell’onestà di esse povere Donne resta provato da’ processi più volte fabbricati nella Curia Vescovile di Albano; e quantunque i zelantissimi Vescovi e i loro vicari Generali con replicati editti penali abbino vietato alli Giovani di andare al lago in tempo che le Donne stanno ivi a lavare li panni ed imbiancare le tele, non hanno perciò potuto mai comprimere un tal lacrimevole abuso, attesi l’innumerabili nascondigli che derivano dalla molteplicità de’ viottoli e dalla foltezza de’ contigui boschi…”
(Archivio Storico del Comune di Genzano).
Da notare che il documento, dove il termine “Acqua” è scritto sempre con la
maiuscola, sviluppa argomentazioni che via via diventano più sostenute e corpose deplorando dapprima lo spreco di acque che nessuno utilizza e invocando infine, come fosse legge naturale, la necessità di costringere un privato con il monopolio esclusivo e privato di un bene come l’acqua, a cederlo alla comunità a fronte del fabbisogno pubblico.
…”Vengono ancora ritrovarsi nel convicino territorio di Nemi due sorgenti di acque chiamate una delle Foci, e l’altra delle Fontecchie, ambedue Acque sperdute, le quali vanno a perire nello stesso lago senza alcun utile anzi con pregiudizio de’ possessori de’ terreni per i quali passano ad immergersi nel lago stesso. Similmente nelle vicinanze di esse sorgenti trovansi alcuni antichi acquedotti diretti alla volta di Genzano…”
I rappresentanti “… giustamente credono avere di supplicare la Santità Vostra, acciò udita l’informazione del Signore Cardinale Sorbelloni Vescovo di Albano, ed udito detto Marchese Frangipane si degni con special chirografo diretto per l’esecuzione a monsignor Uditore della Santità Vostra obbligare detto Marchese a vendere al Popolo e Pubblico di Genzano dette acque sperdute superflue, e che vanno a perire nel lago per il giusto prezzo…” E ancora incalzano sostenendo che “…Questa coarzione B.mo Padre è giustissima, o si consideri l’istanza degli Oratori in rapporto all’ offizio del Principe, o si consideri in rapporto alla privata raggione: se è vero il principio da niuno controverso, che “Salus Populi Suprema Lex est,” può anzi deve il Principe Padrone di due terre, una delle quali abbonda di Acque fino alla superfluità, e l’altra è mancante obbligare quella che ne sovrabbonda a vendere a questa quella quantità che è superflua ed inutile per quell’interesse che ha, e deve avere il Principe della conservazione de’ suoi popoli e delle sue terre e che si rendono infrequenti o almeno povere per la mancanza dell’ acqua…Troppo necessaria per lo sostentamento della vita, per la coltura delle campagne ed uso di ciò che è necessario per li generi del commercio; se appartiene al Principe la cura del Bene pubblico, conviene confessare che possa anzi debba obbligare quei, che ne hanno dovizia e sovrabbondanza a venderne a giusto prezzo a quei che ne abbisognano, come è commune sentimento sì de’ Teologi, sì de’ Maestri del Pubblico Diritto”.
Secondo questi oratori del sec XVIII l’accesso all’acqua è un pubblico diritto, in quanto necessaria per il sostentamento della vita. Ma il marchese Frangipane rilancia sul prezzo, ne impone uno più alto di quello equo stabilito dai periti per il pubblico interesse della comunità, …”Se è poi giusto, che egli venda le acque a prezzo più rigoroso per la necessità che ha di esse il Popolo di Genzano; può vendersi una cosa a prezzo più caro allorchè di essa si scarseggia nel luogo ove si vende, non è giusto che si venda a caro prezzo ciò che è abbondante e superfluo nel luogo ove si vende per la necessità che ha di essa il compratore di altro luogo, come con S. Tommaso insegnano i Teologi…”. Infine essi concludono “… Dimostrata dunque la giustizia della causa in rapporto alla necessità si spirituale che temporale giova alli Oratori sperare dalla clemenza della Santità Vostra il conseguimento di una grazia si giusta..”
“Alla santità di nostro signor Papa Clemente XIII (papa dal 1758-1769)
A monsignor Uditore.”
Ci vollero quindi molti anni prima di poter costruire le Clementine e le altre fontane anche per i ritardi nell’applicazione di quanto accordi, “Brevi Papali” ed “Istromenti” imponevano e per l’opposizione, come si è detto, del Marchese Frangipane.
Comunque già alla metà del XVII secolo una disposizione Papale autorizzava i frati Cappucccini in territorio di Genzano a recuperare l’acqua di Nemi che, attraverso antiche condotte, in uscita dalle “gallerie filtranti”, arrivava, secoli prima, addirittura fino alla villa degli Antonini e poi a condurre i tre quarti di questa fino a Genzano.
Lo ricorda una lettera in latino a papa Alessandro VII datata 1659….. “Riperiendi et accipiendi uncies sex aquarum”, “…. Conduttandi conducendi, et aesportandi ad conventum…” dove si parla di sei once d’acqua concesse ai frati, da restringere nei condotti e condurre dal territorio di Nemi verso il convento di quei Reverendissimi Padri.
Un’oncia d’acqua, nello stato pontificio, equivaleva alla misura attuale di 0.25 l/sec (circa 21 m3/di), per cui possiamo stimare che l’ acqua ricondotta dal territorio di Nemi verso il convento sia equivalente a 1.5 l/sec (circa 126 m3/di). Se consideriamo che l’Ing. G. Ducci, nel 1913, stimava che la portata d’acqua in uscita dalle “gallerie filtranti” e provenienti, quindi, dal Comune di Nemi, fosse pari a Q = 2.25 l/sec è verosimile ipotizzare che la disposizione Papale, di ricondurre i tre quarti di quell’ acqua fino a Genzano, sia stata rispettata.
Si ha notizia, inoltre, che l’acqua di Tempesta venne ceduta al Comune di Genzano con “Istromento di cessione per frutto dei Reverendi Padri Cappuccini l’8 giugno 1730, notaio Lucarelli.” (Copia semplice dell’Istromento e altri documenti presso l’archivio storico di Genzano, fascicolo Sorgenti ed Acquedotti antichi 1700-1800).
Dunque, alla fine, l’acqua è arrivata e le belle Clementine ricordano con le iscrizioni al di sopra delle cannelle che Clemente XIII e Clemente XIV restituirono alla comunità di Genzano, per la salute e l’utilità del suo popolo, le chiare e fresche acque che scorrevano in antichi condotti provenienti dal territorio di Nemi ( ex agro nemorensi deducendarum) dalle sorgenti delle Foci e Pontecchio (aquarum Phociae et Pontichiae) nell’anno del signore 1776.
scritto da Carlo Testana |