Lanuvio: un borgo che può diventare “unico”
Tre nuclei per una città storica che si snoda in lunghezza dalla pianura alla collina, guardando da lontano il mare.
Partendo dalle “casette” di borgo San Giovanni, si sale lentamente verso il borgo medioevale fino ad arrivare al santuario di Giunone Sospita, causa della fortuna – riferimento per il culto nel Lazio antico e nell’intera area mediterranea –. E al medesimo tempo della caduta di Launvio, con la chiusura dei templi pagani voluta da Teodosio.
Il borgo medioevale, con le sue piccole strade e spazi chiusi, narra di qualcosa che è stato e che vorrebbe rinascere: i ripetuti bombardamenti della seconda guerra mondiale ne hanno distrutto circa l’80%. Le ricostruzioni, effettuate con materiali di fortuna, sono state sommarie e grossolane (nonostante il piano di ricostruzione). A ciò si aggiungano le superfetazioni successive, alla ricerca di un bagno inesistente nell’alloggio, di una camera in più per allargare gli spazi rivolti alla famiglia che cresce.
Colori che si accostano; panni stesi; materiali di risulta utilizzati per creare nuovi piccoli volumi; qualche bottega di alimentari e di artigianato.
La sensazione che si avverte è di estrema compattezza: tutto è contenuto, stretto, attaccato. Questa dimensione di compattezza si apre con un vasto respiro ambientale nella parte archeologica e si frantuma, in basso, nelle “casette” fino ad arrivare al territorio lasco dei nuclei insediativi della pianura.
Le mura costituiscono un elemento di grande forza, da qualunque parte le si osservi: le mura latine appaiono incombenti dalla Anziatina; il potente sipario da un lato e l’apertura sulla valle, dall’altro, costruiscono uno spazio di percorso che invita alla distensione. All’ingresso del borgo, invece, la presenza delle mura – che risalgono al XIII secolo – chiama l’individuo a misurarsi con la pietra, di cui si avverte distintamente la tessitura materica; la torre appare aggredita da un edificio arancione, con portico pilastrato, che le si attanaglia attorno quasi per impadronirsene e stabilire una gerarchia di presenze. L’idea che attraverso subito la mente è “demolire”. Ma dopo aver girato per il borgo, quando l’occhio ha assorbito e registrato le incongruenze lessicali, strutturali e di colore, un altro pensiero emerge: e se le “contaminazioni” di questo centro divenissero l’occasione per fare del borgo qualcosa di unico, di originale: un luogo di “innesto” tra storia e modernità che si incardini non solo nelle svariate attività e manifestazioni che il centro accoglie nel corso dell’anno (in particolare musica e vino) ma anche nel costruito. Se l’edificio arancione fosse ri-vestito, fosse modificato a diventare una nuova architettura, un nuovo punto di riferimento “insieme” alla torre, per costruire un accordo “dimensionale” tra le parti; se le superfetazioni diventassero incastonature morfologiche, gemmazioni di materia che prendono vita dal borgo; se il sottosuolo si rivitalizzasse, creando continuità e connessioni fino a inglobare il teatro romano: un concorso da rivolgere ai giovani architetti per fare del borgo un gioiello che esploda anche nella configurazione degli spazi fisici, in cui la commistione della popolazione autoctona e degli immigrati (che numerosi abitano il centro) possa dare nuovo vigore all’identità, nella discontinuità delle culture, o guardare più in là, a un riuso diversificato del patrimonio storico.
Il lavoro di rilievo dell’edificato che l’amministrazione sta portando avanti costituisce la base essenziale per avviare questo progetto, che andrebbe tenuto lontano dalle leziosità della ricostruzione del caratteristico e del tipico che congelerebbe storie già sconvolte.
E così Civitas Novina, Civita Lavinia, Lanuvio potrebbe riprendere le fila di quella rete territoriale (incarnata dalla Lega Latina) così chiara nelle città dei Castelli che si parlano guardandosi dall’alto e nelle quali, a sorpresa, si aprono nei tessuti del centro storico piazze improvvise come terrazze sull’infinito.
scritto da Manuela Ricci |
Partendo dalle “casette” di borgo San Giovanni, si sale lentamente verso il borgo medioevale fino ad arrivare al santuario di Giunone Sospita, causa della fortuna – riferimento per il culto nel Lazio antico e nell’intera area mediterranea –. E al medesimo tempo della caduta di Launvio, con la chiusura dei templi pagani voluta da Teodosio.
Il borgo medioevale, con le sue piccole strade e spazi chiusi, narra di qualcosa che è stato e che vorrebbe rinascere: i ripetuti bombardamenti della seconda guerra mondiale ne hanno distrutto circa l’80%. Le ricostruzioni, effettuate con materiali di fortuna, sono state sommarie e grossolane (nonostante il piano di ricostruzione). A ciò si aggiungano le superfetazioni successive, alla ricerca di un bagno inesistente nell’alloggio, di una camera in più per allargare gli spazi rivolti alla famiglia che cresce.
Colori che si accostano; panni stesi; materiali di risulta utilizzati per creare nuovi piccoli volumi; qualche bottega di alimentari e di artigianato.
La sensazione che si avverte è di estrema compattezza: tutto è contenuto, stretto, attaccato. Questa dimensione di compattezza si apre con un vasto respiro ambientale nella parte archeologica e si frantuma, in basso, nelle “casette” fino ad arrivare al territorio lasco dei nuclei insediativi della pianura.
Le mura costituiscono un elemento di grande forza, da qualunque parte le si osservi: le mura latine appaiono incombenti dalla Anziatina; il potente sipario da un lato e l’apertura sulla valle, dall’altro, costruiscono uno spazio di percorso che invita alla distensione. All’ingresso del borgo, invece, la presenza delle mura – che risalgono al XIII secolo – chiama l’individuo a misurarsi con la pietra, di cui si avverte distintamente la tessitura materica; la torre appare aggredita da un edificio arancione, con portico pilastrato, che le si attanaglia attorno quasi per impadronirsene e stabilire una gerarchia di presenze. L’idea che attraverso subito la mente è “demolire”. Ma dopo aver girato per il borgo, quando l’occhio ha assorbito e registrato le incongruenze lessicali, strutturali e di colore, un altro pensiero emerge: e se le “contaminazioni” di questo centro divenissero l’occasione per fare del borgo qualcosa di unico, di originale: un luogo di “innesto” tra storia e modernità che si incardini non solo nelle svariate attività e manifestazioni che il centro accoglie nel corso dell’anno (in particolare musica e vino) ma anche nel costruito. Se l’edificio arancione fosse ri-vestito, fosse modificato a diventare una nuova architettura, un nuovo punto di riferimento “insieme” alla torre, per costruire un accordo “dimensionale” tra le parti; se le superfetazioni diventassero incastonature morfologiche, gemmazioni di materia che prendono vita dal borgo; se il sottosuolo si rivitalizzasse, creando continuità e connessioni fino a inglobare il teatro romano: un concorso da rivolgere ai giovani architetti per fare del borgo un gioiello che esploda anche nella configurazione degli spazi fisici, in cui la commistione della popolazione autoctona e degli immigrati (che numerosi abitano il centro) possa dare nuovo vigore all’identità, nella discontinuità delle culture, o guardare più in là, a un riuso diversificato del patrimonio storico.
Il lavoro di rilievo dell’edificato che l’amministrazione sta portando avanti costituisce la base essenziale per avviare questo progetto, che andrebbe tenuto lontano dalle leziosità della ricostruzione del caratteristico e del tipico che congelerebbe storie già sconvolte.
E così Civitas Novina, Civita Lavinia, Lanuvio potrebbe riprendere le fila di quella rete territoriale (incarnata dalla Lega Latina) così chiara nelle città dei Castelli che si parlano guardandosi dall’alto e nelle quali, a sorpresa, si aprono nei tessuti del centro storico piazze improvvise come terrazze sull’infinito.
scritto da Manuela Ricci |
Per la rubrica Centri Storici – Numero 60 marzo 2007