I segni dell’acqua nella Genzano del Settecento

Oh my darling “Clementine”!

I segni dell’acqua nella Genzano del Settecento

“Clementine” sono chiamate a Genzano con affetto le due fontanelle in cima alla via Livia, poco prima della piazza del Duomo che ha come fondale scenografico la bella chiesa di S. Maria della Cima. Questa via Livia è uno degli assi seicenteschi del tridente che si diparte dall’ Appia all’altezza di piazza Tommaso Frasconi, e ogni anno è il palcoscenico ove si svolge il miracolo umano dell’ Infiorata. Le Fontane Clementine, opera dell’architetto Virginio Bracci, furono costruite nel 1776. Stanno lì, prima della rampa su cui termina via Livia come sentinelle, indicatori, segnaposto; avvertono che tra poco, alla fine della rampa, si aprirà uno scenario urbano diverso ampliandosi verso la piazza e verso la scalinata della chiesa di S. Maria della Cima; un raccordo perfetto tra il medioevo ed il barocco. Però, le “Clementine”, sono anche dei moniti che ricordano come sia stato difficile per la comunità di Genzano ottenere l’acqua che le alimentava.
La medesima acqua della fontana più grande, opera dello stesso Bracci, situata al di sopra dell’odierna piazza Frasconi, al centro dell’Appia fino alla seconda metà dell’ ottocento e poi spostata più in là per evitare intralci. Negli ultimi decenni del secolo XVIII la stessa acqua fu condotta anche verso altre fontane e fontanili di Genzano, nelle piazze allora dette del Macello e dell’Osteria e nel pubblico Lavatore.
Ma il monopolio dell’acqua a quei tempi, dentro il bacino del lago di Nemi, era tenuto dalla nobile casata dei Frangipane signori di Nemi, e solo dopo diversi anni, a fronte di incalzanti richieste e pressioni, questi feudatari furono “costretti” a cedere al popolo di Genzano parte dell’acqua che copiosa sgorgava dalle sorgenti della conca del lago. Per questa concessione furono inviate suppliche a vari Papi tra cui Alessandro VII nel 1659, Clemente XI (papa tra il 1700 e il 1721) e ancora a Clemente XIII che fu papa dal 1758 al 1769.
Proprio a quest’ultimo, in quegli anni, fu indirizzata una supplica da parte dei rappresentanti della terra di Genzano, diocesi di Albano, che illustra chiaramente la difficile situazione del tempo non senza alcune curiosità nell’esporre gli argomenti a sostegno della richiesta che chiamano in causa la pubblica decenza e lo scandalo, fino alla violata onestà delle donne che devono lavare i panni “mezze nude” e vengono infastidite e molestate dai giovanotti. Ecco la trascrizione di alcuni passi.

“Li pubblici rappresentanti della terra di Genzano Diocesi di Albano sudditi ed O.ri umilissimi della S.V. prostrati a suoi santissimi piedi in nome di tutto quel Popolo con il maggior ossequio espongono ritrovarsi quel Pubblico in estrema penuria di Acqua, e per provedere alli domestici bisogni sono obbligate le povere Donne per lo più giovani e Zitelle andare a provederne nel fontanile esistente per la strada che conduce alla Chiesa di Galloro distante dal Paese circa un miglio per strada tutta circondata da folti Boschi, e similmente per lavare li panni, ed imbiancare le tele sono costrette a portarsi fino alla riva del lago di Nemi, e Genzano per scoscesi viottoli situati nel folto de’ boschi, quali circondano ancora tutta la riva di esso lago, ove le Donne sono necessitate lavare ginocchioni, e mezze nude sopra pietre dentro l’acqua.
Il male fosse unicamente ristretto all’incommodo, e dispendio temporale, sarebbe assai meno insoffribile; il colmo della miseria Beatissimo Padre consiste principalmente nel dispendio spirituale. Quali e quanti scandali siano da tutto ciò derivati con pregiudizio dell’onestà di esse povere Donne resta provato da’ processi più volte fabbricati nella Curia Vescovile di Albano; e quantunque i zelantissimi Vescovi e i loro vicari Generali con replicati editti penali abbino vietato alli Giovani di andare al lago in tempo che le Donne stanno ivi a lavare li panni ed imbiancare le tele, non hanno perciò potuto mai comprimere un tal lacrimevole abuso, attesi l’innumerabili nascondigli che derivano dalla molteplicità de’ viottoli e dalla foltezza de’ contigui boschi…”
(Archivio Storico del Comune di Genzano).

Da notare che il documento, dove il termine “Acqua” è scritto sempre con la
maiuscola, sviluppa argomentazioni che via via diventano più sostenute e corpose deplorando dapprima lo spreco di acque che nessuno utilizza e invocando infine, come fosse legge naturale, la necessità di costringere un privato con il monopolio esclusivo e privato di un bene come l’acqua, a cederlo alla comunità a fronte del fabbisogno pubblico.

…”Vengono ancora ritrovarsi nel convicino territorio di Nemi due sorgenti di acque chiamate una delle Foci, e l’altra delle Fontecchie, ambedue Acque sperdute, le quali vanno a perire nello stesso lago senza alcun utile anzi con pregiudizio de’ possessori de’ terreni per i quali passano ad immergersi nel lago stesso. Similmente nelle vicinanze di esse sorgenti trovansi alcuni antichi acquedotti diretti alla volta di Genzano…”

I rappresentanti “… giustamente credono avere di supplicare la Santità Vostra, acciò udita l’informazione del Signore Cardinale Sorbelloni Vescovo di Albano, ed udito detto Marchese Frangipane si degni con special chirografo diretto per l’esecuzione a monsignor Uditore della Santità Vostra obbligare detto Marchese a vendere al Popolo e Pubblico di Genzano dette acque sperdute superflue, e che vanno a perire nel lago per il giusto prezzo…” E ancora incalzano sostenendo che “…Questa coarzione B.mo Padre è giustissima, o si consideri l’istanza degli Oratori in rapporto all’ offizio del Principe, o si consideri in rapporto alla privata raggione: se è vero il principio da niuno controverso, che “Salus Populi Suprema Lex est,” può anzi deve il Principe Padrone di due terre, una delle quali abbonda di Acque fino alla superfluità, e l’altra è mancante obbligare quella che ne sovrabbonda a vendere a questa quella quantità che è superflua ed inutile per quell’interesse che ha, e deve avere il Principe della conservazione de’ suoi popoli e delle sue terre e che si rendono infrequenti o almeno povere per la mancanza dell’ acqua…Troppo necessaria per lo sostentamento della vita, per la coltura delle campagne ed uso di ciò che è necessario per li generi del commercio; se appartiene al Principe la cura del Bene pubblico, conviene confessare che possa anzi debba obbligare quei, che ne hanno dovizia e sovrabbondanza a venderne a giusto prezzo a quei che ne abbisognano, come è commune sentimento sì de’ Teologi, sì de’ Maestri del Pubblico Diritto”.

Secondo questi oratori del sec XVIII l’accesso all’acqua è un pubblico diritto, in quanto necessaria per il sostentamento della vita. Ma il marchese Frangipane rilancia sul prezzo, ne impone uno più alto di quello equo stabilito dai periti per il pubblico interesse della comunità, …”Se è poi giusto, che egli venda le acque a prezzo più rigoroso per la necessità che ha di esse il Popolo di Genzano; può vendersi una cosa a prezzo più caro allorchè di essa si scarseggia nel luogo ove si vende, non è giusto che si venda a caro prezzo ciò che è abbondante e superfluo nel luogo ove si vende per la necessità che ha di essa il compratore di altro luogo, come con S. Tommaso insegnano i Teologi…”. Infine essi concludono “… Dimostrata dunque la giustizia della causa in rapporto alla necessità si spirituale che temporale giova alli Oratori sperare dalla clemenza della Santità Vostra il conseguimento di una grazia si giusta..”

“Alla santità di nostro signor Papa Clemente XIII (papa dal 1758-1769)
A monsignor Uditore.”

Ci vollero quindi molti anni prima di poter costruire le Clementine e le altre fontane anche per i ritardi nell’applicazione di quanto accordi, “Brevi Papali” ed “Istromenti” imponevano e per l’opposizione, come si è detto, del Marchese Frangipane.
Comunque già alla metà del XVII secolo una disposizione Papale autorizzava i frati Cappucccini in territorio di Genzano a recuperare l’acqua di Nemi che, attraverso antiche condotte, in uscita dalle “gallerie filtranti”, arrivava, secoli prima, addirittura fino alla villa degli Antonini e poi a condurre i tre quarti di questa fino a Genzano.
Lo ricorda una lettera in latino a papa Alessandro VII datata 1659….. “Riperiendi et accipiendi uncies sex aquarum”, “…. Conduttandi conducendi, et aesportandi ad conventum…” dove si parla di sei once d’acqua concesse ai frati, da restringere nei condotti e condurre dal territorio di Nemi verso il convento di quei Reverendissimi Padri.
Un’oncia d’acqua, nello stato pontificio, equivaleva alla misura attuale di 0.25 l/sec (circa 21 m3/di), per cui possiamo stimare che l’ acqua ricondotta dal territorio di Nemi verso il convento sia equivalente a 1.5 l/sec (circa 126 m3/di). Se consideriamo che l’Ing. G. Ducci, nel 1913, stimava che la portata d’acqua in uscita dalle “gallerie filtranti” e provenienti, quindi, dal Comune di Nemi, fosse pari a Q = 2.25 l/sec è verosimile ipotizzare che la disposizione Papale, di ricondurre i tre quarti di quell’ acqua fino a Genzano, sia stata rispettata.
Si ha notizia, inoltre, che l’acqua di Tempesta venne ceduta al Comune di Genzano con “Istromento di cessione per frutto dei Reverendi Padri Cappuccini l’8 giugno 1730, notaio Lucarelli.” (Copia semplice dell’Istromento e altri documenti presso l’archivio storico di Genzano, fascicolo Sorgenti ed Acquedotti antichi 1700-1800).
Dunque, alla fine, l’acqua è arrivata e le belle Clementine ricordano con le iscrizioni al di sopra delle cannelle che Clemente XIII e Clemente XIV restituirono alla comunità di Genzano, per la salute e l’utilità del suo popolo, le chiare e fresche acque che scorrevano in antichi condotti provenienti dal territorio di Nemi ( ex agro nemorensi deducendarum) dalle sorgenti delle Foci e Pontecchio (aquarum Phociae et Pontichiae) nell’anno del signore 1776.

scritto da Carlo Testana |

Per la rubrica Centri Storici – Numero 88 febbraio 2010

Franco Medici |

Per la rubrica Centri Storici – Numero 88 febbraio 2010
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I gioielli sul cratere: Genzano e Nemi

I gioielli sul cratere: Genzano e Nemi

Se si osservano i centri storici da una certa distanza, quella giusta, quella che permette di vedere bene tutto il complesso degli spazi e delle case, l’emergere delle torri o dei campanili, le strutture minute e quelle massicce, è possibile rintracciare non solo la coesione fisica ma anche la coesione sociale delle comunità. Il modo di vivere degli abitanti di un luogo conforma l’aspetto stesso di quel luogo.
Nei centri antichi gruppi di persone e comunità organizzate hanno trascorso il tempo della vita e sono riuscite a svolgere le loro attività produttive, culturali e di svago in condizioni di relativa autonomia. In questo si riconosce l’aspetto vitale di un insediamento. Queste persone hanno contribuito alla trasformazione ed all’uso dello spazio abitato, hanno interpretato il rapporto tra il mondo fisico circostante e gli edifici mantenendo l’equilibrio tra la dimensione locale e la dimensione territoriale. Hanno in questo modo contribuito alla costruzione dell’immagine stessa della città .
Possiamo seguire il profilo degli antichi nuclei urbani non solo alla scoperta dei connotati fisici ma anche più in profondità alla scoperta dell’anima e dello spirito di quell’organismo.
Questi fattori stratificano la vita dei centri antichi da moltissimo tempo; le sensazioni che il visitatore ha guardando sono molteplici e profonde. Egli riconosce il cammino dell’esistenza, gli sforzi fatti per garantire il vivere, le giustizie e le ingiustizie e tutte quelle profonde emozioni che ci assediano attraversando luoghi densi di storie e ricchi di avvenimenti. Forse per questo i centri storici suscitano sempre nei visitatori sentimenti che vanno dall’ammirazione alla nostalgia. Anche da lontano la fantasia non smette di accendersi.
Abbiamo la fortuna di poter ammirare due autentici gioielli incastonati sul bordo del cratere del lago di Nemi e di riconoscerne la possibile storia, raccontata o immaginata. Genzano verso il mare e Nemi verso monte. Sorgono su straordinarie emergenze geologiche e geomorfologiche che sono state giudicate di notevole interesse e meritevoli di attenzione e tutela perché hanno determinato l’attuale straordinario paesaggio e sono la testimonianza di importanti fasi della storia della Terra. Sembra quasi che, prima della nascita delle città, la terra abbia preparato i geositi perché meglio venissero accolte le fondamenta delle strutture urbane. Sono anche zone di rilevante interesse naturalistico e peculiari per l’aspetto fisico, climatico e strutturale. In questo straordinario paesaggio le comunità hanno creato due distinte esistenze tanto speciali quanto diverse perché teatro di storie umane differenti.
Un itinerario
per vedere
da lontano
Scendendo dalla via Nemorense di mattina il sole illumina il profilo di Genzano che si specchia sulle acque del lago; dal lato opposto Nemi disteso e pacato con la sua torre solenne. Entrambi si posano sul sito di uno dei crateri dell’antico Vulcano Laziale, non c’è traccia di forzature nella giacitura e nella conformazione urbana a differenza di molti nuovi agglomerati moderni che appaiono stridenti ed in contrasto con l’ambiente circostante, forse perché nascono troppo in fretta e non hanno storie antiche e sensibili da raccontare. Nei caseggiati di queste nuove realtà urbane, spesso con pochi servizi, gli abitanti con le loro storie intense e personali non trovano le stesse atmosfere di una piazzetta o dei vicoli di un centro storico. Con grande sforzo devono ricostruire da capo un’esistenza.
Qui nelle stradine e negli spazi delle antiche Genzano e Nemi di eventi se ne percepiscono in quantità, basta osservare la fitta tessitura delle costruzioni, le sagome delle chiese, i piani delle case commisurati alla pericolosità sismica, i balconi, le finestre, le terrazze, i muri, i cornicioni, i tetti, i comignoli. (fig. 1-3)
La strada che collega Nemi a Genzano, la via Nemorense appunto, negli ultimi sessanta anni ha aperto spazi maggiori al panorama ed al paesaggio. Prima era un collegamento ristretto, una stradina quasi e due secoli fa un sentiero. Nemi si collegava con il fuori principalmente attraverso l’attuale via del lago, dalla parte opposta. Questa strada, oltrepassata la “portella” medievale, immetteva a destra sulla via Roma detta degli “alberi santi”, e collegava i paesi vicini a nord-est e la capitale. Il toponimo è la memoria del Nemus, il bosco sacro, inaccessibile ai comuni mortali, luogo ricco di notissimi miti, storie e leggende tra le quali basta ricordare il mito di Ippolito, la tragedia del Rex Nemorensis, le vicende del Santuario, le navi di Caligola. A sinistra dopo la “portella”, invece, si scendeva e, se pur a fatica ancora oggi si scende, al Tempio di Diana ed alla fertile valle del lago.
Quanto alla via Nemorense, gli anziani raccontano di vasti lavori nella prima metà del secolo XIX per migliorarne la percorrenza. Un capomastro, il sig. Peppino Lattanzi, ricorda in modo particolareggiato la serie di grosse arcate costruite per l’ampliamento della strada che si trovano davanti l’attuale casa di cura Villa delle Querce. “Ho lavorato – dice – per realizzare le centine in mattoni disposti in foglio secondo una tecnica che chiamavamo a punto ritrovato e a due principi. In questo modo si disponevano le file alternate dei mattoni con malta “grassa” senza ricorrere alle pesanti e macchinose centine in legno. Queste volte dello spessore di pochi centimetri hanno una straordinaria resistenza ed hanno permesso la realizzazione degli arconi sui quali è poggiato il piano stradale”. Si può scendere, con cautela, sotto la strada e vedere l’intradosso delle volte con luci fino a dieci metri; non c’è una minima lesione neanche di assestamento (scheda1).
Da qui si vede bene il profilo dei due paesi con il palazzo Sforza-Cesarini a Genzano, e il Palazzo Ruspoli verso Nemi. Un tempo le comunità erano socialmente più distanti, perché legate a diverse famiglie nobiliari spesso in antagonismo tra di loro. Ora le imponenti costruzioni sono i riferimenti più importanti dei due comuni e si dovrebbe continuare nello sforzo di renderle completamente disponibili alla cultura delle città. Esse giganteggiano nella minuta tessitura delle case, sono i capisaldi ed i traguardi prospettici della struttura urbana che insieme agli edifici religiosi ed all’architettura popolare hanno determinato la conformazione, l’unicità e la bellezza di Genzano e Nemi. I due profili si vedono bene anche dalla località “Le Piagge” di fronte alla Nemorense dall’altra parte del lago; non sono molti i punti del cratere vulcanico dai quali, voltando semplicemente lo sguardo, è possibile percepire le due realtà urbane alla stessa dimensione e distanza senza avere troppo vicino l’una e troppo distante l’altra. La vista restituisce con maggiore obiettività l’immagine dei nuclei storici in tutto il loro pacato, sereno ma intenso fascino di gioielli sul lago. I punti panoramici lungo le strade che contornano il lago andrebbero risolti con un minimo di spazi per sostare, ammirare, fotografare, spazi qualificanti e liberi dalle recinzioni e dai manufatti precari, che compromettono la vista sul paesaggio. Sarebbe un piccolo passo in più verso il mantenimento e la valorizzazione.

scritto da Carlo Testana |

Per la rubrica Centri Storici – Numero 96 novembre 2010
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Viaggio a Rocca di Papa

Viaggio a Rocca di Papa

Eccola lì, Rocca di Papa, adagiata sul monte, una colata di case, un intreccio di muri, cortili, piazzette, slarghi, stradine, vicoli, fatti ad arte con la sapienza degli antichi costruttori dei nostri borghi italiani più belli.
Sapienza perduta per sempre, si dice, nell’evoluzione storica e sociale dell’edificare e dell’abitare. Un fatto è certo: nessuna nuova città o nuovo quartiere eguaglia in bellezza i centri e gli insediamenti storici, dove tutto ha misura, proporzione e senso, anche le costruzioni più modeste o popolari.
Una sorta di magica atmosfera avvolge ancora il cuore delle città antiche, dove una specie di sinfonia accompagna il visitatore con le variazioni sul tema, i diminuendo ed i crescendo, le pause ed i silenzi, fino alla sorpresa di un quadro, di una prospettiva inattesa nel paesaggio urbano, dietro un vicolo o all’aprirsi di una piazza.
Osservando da lontano gli insediamenti storici dei Castelli Romani si riconoscono le tipologie dei profili delle città. Alcuni hanno un andamento lineare, seguono una direttrice, si appoggiano sul terreno, anche se a differenti quote (Frascati, Grottaferrata, Genzano, Nemi), altri invece si aggrappano in alto sui versanti del Vulcano come propaggini della pietra in forma di case a formare grappoli, diramazioni, frange (Rocca di Papa, Rocca Priora, Monte Compatri).
Vista dalla piana di via di Fioranello ad esempio, Rocca di Papa, che appare al di sopra di Marino e Grottaferrata, mostra chiaramente la diversa conformazione urbana e, nell’insieme della veduta più ampia, si notano bene i rapporti tra l’edilizia minore e le emergenze architettoniche e monumentali dei palazzi, delle chiese, abbazie, rocche, campanili.
Si riconoscono ancora, nonostante i forti incrementi dell’edilizia contemporanea, le relazioni intense con l’ambiente naturale e con il paesaggio; sono valori da conservare e salvaguardare con attenzione e scrupolo perché seriamente a rischio.
Per arrivare in cima alla Rocca bisogna salire, salire e riprendere fiato guardando il panorama con il rischio di riperderlo, il fiato.
Da Rocca di Papa infatti si aprono paesaggi straordinari che inquadrano insieme i laghi Albano e di Nemi, il mare, le falde del Vulcano Laziale fino all’immensa distesa di Roma che continua a crescere a ridosso dei Castelli Romani.
C’era l’aria buona a Rocca di Papa, lo sanno tutti. Meta di visite e soggiorni, per questa sua qualità, nei secoli scorsi; passeggiate, il silenzio dei boschi, la bellezza dei luoghi perduti, le tracce di antiche storie e un fresco sapore di aria pulita nel respiro.
Fino alla prima metà del secolo XX il viaggio da Roma era di un certo impegno, ma scegliendo di raggiungere Rocca di Papa con il tram e la funicolare il viaggio sarebbe stato bello ed interessante.
Il servizio su rotaia per raggiungere le cittadine dei Castelli Romani era un esempio molto sensato dell’uso del mezzo pubblico per la mobilità extraurbana; il confronto con oggi fa impallidire i contemporanei. Se solo si fosse mantenuta quella rete, oggi avremmo un invidiabile sistema di trasporto su rotaia, efficienti collegamenti tra i Castelli, meno traffico, meno inquinamento, più spazi a dimensione umana e più aree verdi.
Già nel 1906 fu aperto al pubblico il servizio extraurbano da Roma a Grottaferrata, Frascati, Genzano con una diramazione verso Valle Oscura da cui partiva la prima funicolare per Rocca di Papa poi spostata a Valle Vergine.

“Viaggio a Rocca di Papa”
Lo scrittore Achille Campanile ad un certo punto del romanzo Ma che cosa è quest’amore?, pubblicato in prima edizione il 15 luglio del 1927, interrompe la narrazione a pagina 160. Alcuni protagonisti della storia riposano e per far passare il tempo dell’attesa l’autore inserisce tra un capitolo e l’altro l’intermezzo “Viaggio a Rocca di Papa”. Ventiquattro pagine esilaranti di un progettato viaggio da Roma di A.Campanile e di un amico pittore, i cui preparativi durano dieci anni tra rimandi e ripensamenti alla ricerca di Ferdinando, che alla fine si scoprirà essere partito per Roma, stanco di attendere da anni la visita degli amici, per salutarli a sua volta, mentre questi nello stesso momento hanno a fatica finalmente raggiunto Rocca di Papa. Campanile parla del tram, trascrive gli orari delle partenze mattutine (l’accelerato delle otto e il diretto delle otto e un quarto) e descrive le trasvolate del mezzo sul piano e sulle montagne, lo scomparire ed il riapparire tra valli, praterie e ponti fragorosi: “fulmineo e rombante”.
La funicolare poi deposita l’autore e l’amico Antonio C. in piazza a Rocca di Papa. La salita verso il paese si fa con l’aiuto degli asini racconta Campanile. Per tornare a Roma c’è il diretto delle 6.40 da Grottaferrata o il tram delle 5.00 con due coincidenze: tutti i tram sono “inverosimilmente gremiti”. “Prendiamo posto sotto un sedile. Stanchi ma felici”. (A. Campanile, 1927, Ma che cosa è quest’amore?, pag. 181, Corbaccio, Milano).

scritto da Carlo Testana |

Per la rubrica Centri Storici – Numero 98 febbraio 2011
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Sulle tracce della mitica Diana

Sulle tracce della mitica Diana

I luoghi del mito di Diana, delle navi di Caligola e dell’antico Emissario sono stati la meta della prima escursione tra natura e cultura organizzata da Sagre & Profane
Il minuscolo Lago di Nemi, in mezzo ai boschi, veniva chiamato dagli antichi “Specchio di Diana”. In tempi remoti, questo paesaggio agreste era teatro di una misteriosa e ricorrente “tragedia”. Sulla sponda settentrionale del Lago, proprio sotto i dirupi scoscesi ai quali si aggrappa la Nemi odierna, sorgevano il Bosco Sacro e il Santuario di Diana Nemorense, la Diana dei Boschi. All’interno del Santuario cresceva un albero di cui era proibito spezzare i rami. Solo ad uno schiavo fuggitivo era concesso di cogliere una delle sue fronde. Se riusciva nella sua impresa, acquistava il diritto di battersi con il sacerdote e, se lo uccideva, di regnare in sua vece con il titolo di Re del Bosco (Rex Nemorensis). La fronda fatale era quel Ramo d’Oro che, per ordine della Sibilla, Enea colse prima di affrontare il periglioso viaggio nel mondo dei morti. Il rituale della trasmissione del potere nel bosco di Diana, considerato dai Latini terra di nessuno e quindi di tutti, garantiva il patto comunitario tra le città latine perchè il re del Bosco Sacro, essendo uno schiavo, non aveva né antenati e né eredi e quindi il suo potere non poteva essere trasmesso come quello di un vero re.
L’odierno scavo del Santuario di Diana è meta da non perdere: ci si giunge attraverso strade diverse, tutte particolarmente belle e suggestive dove alla specialità del paesaggio si coniuga un’atmosfera che riporta indietro nel tempo: una primo percorso è il circuito che da Via Perino, a Genzano, scende lungo le coste del lago e poi, in senso antiorario, percorre tutto il periplo del lago e si ricongiunge con la stessa Via Perino. Un altro itinerario, anche se più faticoso, è quello che dalle Piagge, sempre a Genzano, arriva a Fontan Tempesta e da qui, attraverso il sentiero di Diana, raggiunge le coste del lago all’altezza della zona dove sorgono i resti del tempio.
Lungo il primo percorso una prima tappa è consigliata sulle rive del lago all’altezza di un primo slargo, frequentato da pescatori e da pochi bagnanti, da cui si possono osservare degli estesi canneti, dominati dalle Cannucce di palude e i caratteristici Platani che bordano le rive del lago. Peculiare è la presenza dell’Ontano Nero. Tale pianta, utilizzata per il consolidamento di pendici franose, viene utilizzata sia in edilizia, per costruzioni in terreni sommersi, che in medicina: infatti la sua corteccia è usata per far diminuire la temperatura corporea e come succedaneo della china. I versanti interni e soleggiati della caldera sono ricoperti invece da lembi di leccete, che rappresentano la vegetazione originaria che ricopriva un tempo gran parte dell’orlo dell’antico cratere. Il lago ospita il Germano Reale e, durante il periodo invernale, piccoli gruppi di uccelli acquatici: Folaghe, Svassi maggiori, Cormorani; mentre lungo la vegetazione delle rive è possibile vedere la Gallinella d’acqua.
Il percorso prosegue in senso antiorario sino a raggiungere un punto del lungolago in cui la strada curva a sinistra ed all’altezza di un piccolo slargo, gira a destra e imbocca una stradina più stretta che prosegue in leggera salita, per deviare quasi subito a sinistra su un viottolo che porta al Santuario di Diana. Attualmente del famoso Santuario e del suo Tempio si conservano pochissimi resti ed è quindi difficile immaginare le sue grandissime dimensioni – occupava una superficie complessiva di almeno 8-10 ettari – pur potendone intuire la bellezza e l’ unicità. Il Tempio era situato al centro di tale immensa area la cui sacralità ha segnato il territorio nemorense per tutto il periodo romano, fino a rendere sacri i boschi, selve impenetrabili, proibite ai profani al punto che l’imperatore Caligola, per aggirare il divieto di costruire sulla terra, fece realizzare sul lago due navi con funzione di vere e proprie case galleggianti.
Proprio il Museo delle Navi Romane è la terza tappa consigliata per chi volesse intraprendere questo percorso. Infatti la storia delle navi di Caligola non è meno affascinante e misteriosa di quella del Bosco Sacro e del mito di Diana.
Le navi, nonostante numerosi e costanti studi, sono ancora avvolte dal mistero. Erano infatti troppo grandi per navigare in un lago come quello di Nemi e sul ponte erano stati costruiti edifici di cui non si conosce la forma e neanche le funzioni. Furono costruite tra il 39 e il 41 d.C., con una accuratezza e una precisione a dir poco impressionanti. Basti pensare che a bordo era stata ritrovata una gru, la cui base, per girare, sfruttava già la tecnica dei moderni cuscinetti a sfera. Alla morte dell’imperatore Caligola, le navi furono affondate nel lago, per cancellarne la memoria. Il loro recupero, tentato fin dal 1446 da Leon Battista Alberti, avvenne tra il 1928 ed il 1931 prosciugando una parte del lago e, per questo, considerato in quel tempo una delle scoperte più incredibili dell’archeologia moderna. Tutto questo andò perso nella notte del 31 maggio del 1944 quando alcuni tedeschi in fuga dettero fuoco al Museo distruggendo il favoloso tesoro che conservava. Non possiamo fare a meno di sognare e pensarle ancora lì quelle navi e il loro museo annoverati tra siti più visitati d’Italia come la Torre di Pisa, il Foro Romano e il Colosseo. Ci dobbiamo contentare di una fama ridotta e comunque promuovere e far conoscere il Museo delle navi che rimane di estremo interesse per appassionati o cultori della storia romana. Non a caso su questo stesso giornale gli è stata dedicata una scheda ed un interessantissimo articolo, a cui rimandiamo, pubblicato nel numero 61 della rivista con il titolo “Nemi dei misteri”.
Dopo la visita al Museo, si percorre un lungo tratto asfaltato in direzione Genzano, per poi scendere rapidamente fino a raggiungere, tra i campi coltivati e la riva del lago, il manufatto d’imbocco dell’antico Emissario. Di questo, costruito per regolare il livello del lago, non si conosce l’ effettiva data di costruzione; tuttavia è possibile affermare, con quasi assoluta certezza, che la sua realizzazione fu opera degli abitanti della città di Aricia intorno al V secolo a.C. Quando gli Aricini decisero di costruire il Santuario di Diana, nacque l’esigenza di bonificare la zona in quanto estremamente paludosa a causa delle periodiche oscillazioni delle acque. Fu così che si decise per la costruzione dell’emissario, sfruttandolo in tal modo anche per l’irrigazione della valle sottostante. Per rendersi conto della grandiosità dell’ opera basti pensare che si sviluppa per ben 1653 metri, con un dislivello tra l’entrata e l’uscita di 12,63 metri. Una volta uscite dal condotto, le acque venivano incanalate in un fosso all’aperto lungo circa 2100 metri, per poi di nuovo interrarsi nel cosiddetto cunicolo aricino, lungo 610 metri, per sfociare finalmente in mare, nei pressi di Ardea, dopo un percorso di circa 15 chilometri.
Lasciata l’area dell’Emissario, la passeggiata continua lungo le coste del lago. Qui, tra maggio e luglio, è possibile assistere alla fioritura spontanea della Ginestra Odorosa dal colore giallo brillante e trovare esemplari di Alaterno, detto anche “legno puzzo” in quanto il suo legno emana un odore sgradevole. Ha fiori giallo-verdastri e frutti costituiti da una drupa arrotondata, delle dimensioni di un pisello, dapprima rossa poi nerastra a maturità, in autunno.
In breve si arriva così al punto di partenza; un sentiero di 7 km che si percorre in circa due ore attraversando quasi 1000 anni di storia tutti scanditi dal culto della Diana Nemorense.

scritto da Maurizio Bocci |

Per la rubrica Beni ambientali – Numero 66 novembre 2007
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Affascinati dal parco

Affascinati dal parco

Parco Sforza-Cesarini è un angolo di meraviglia all’interno dei Castelli Romani.
Il suo bosco intricato guarda diretto il lago di Nemi, prostrato alle sue pendici. Un luogo destinato a stupire, avvolto nella magia di leggende millenarie, che dall’antica Roma sono giunte sino a noi.
Il Parco è parte delle proprietà che la famiglia Sforza-Cesarini possedeva a Genzano di Roma, e la sua realizzazione risale alla metà del XIX secolo, opera dell’ingegno del duca Lorenzo Sforza-Cesarini, che dalla moglie, la nobildonna britannica Carolina Shirley, trasse l’ispirazione romantica che si può respirare ancora al suo interno e che lo caratterizza. Nel progetto si intravede infatti lo spirito del romanticismo ottocentesco, che ne ha influenzato ogni suo angolo.
Romantico è il piccolo bacino lacustre che saluta, appena entrati, i visitatori; romantici sono i sentieri che si lasciano avvincere da una natura folta e selvaggia, romantici gli scorci mozzafiato sull’antico Speculum Dianae, il lago dedicato alla divinità della luna e della caccia.
Ed è proprio il lago a cedergli parte del suo fascino, quel mistero che si cela da secoli oltre le fronde delle molte querce secolari che arricchiscono l’interno del Parco. Un’occasione di visita unica, trattandosi dell’unico parco storico che rispecchia i canoni del romanticismo nei Castelli Romani.
Il suo bosco è ricco di specie arboree autoctone, e ricalca in pieno la varietà del Nemus Aricinum, il bosco sacro della dea Diana che si sviluppava su tutta la vallata del lago.
Per questo colpiscono le querce secolari, o l’eleganza del Laurus Nobilis, pianta ricordata anche nell’Eneide perché di essa erano ricche le terre che Enea attraversò dopo aver raggiunto il Latium Vetus. Ma il Parco presenta anche una discreta presenza di esemplari di flora non autoctona, come i secolari cedri del Libano, che ormai ne segnano in maniera indiscussa l’ingresso.
Il parco, dopo anni di abbandono, è stato recuperato dal comune di Genzano di Roma grazie ad un intervento di restauro di circa due anni, e riproposto al pubblico a partire dal settembre 2006.
Ogni anno esso rimane aperto dall’arrivo della primavera fino alla fine di novembre. Quest’anno riaprirà domenica 23 marzo, e sarà accessibile tutte le domeniche. L’ingresso avviene esclusivamente mediante visita guidata, con le guide dell’associazione Diakronica.
Inoltre dal 4 al 6 aprile si svolgerà al suo interno la manifestazione “Petali di primavera”: oltre alle consuete visite guidate, i visitatori potranno assistere a laboratori nei quali si potranno scoprire le qualità cosmetiche, farmaceutiche e culinarie delle molte essenze che fioriscono in primavera.


L’ingresso costa € 3,00.
Gli orari di apertura sono i seguenti: la mattina dalle 10 alle 13, il pomeriggio dalle 15 alle 19 (la biglietteria chiude un’ora prima).
Per maggiori informazioni contattare il Punto Informazioni Turistiche di Genzano di Roma (aperto il sabato e la domenica dalle 9.30 alle 13, e dalle 16.30 alle 19.30), al numero 0693711331.
È possibile inoltre inviare una mail ai seguenti indirizzi: pit@comune.genzanodiroma.roma.it, info@diakronica.it

scritto da Alessio Colacchi |

Per la rubrica Beni ambientali – Numero 69 marzo 2008
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