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Immagini dei Castelli Romani
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Tagged Agriturismo, Bed and Breakfast, Castelli Romani, Colle Ionci, COLLI ALBANI, Hotel, ROMA
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GENZANO e NEMI si guardano attraverso il lago
Genzano e Nemi si guardano attraverso il lago
Circa 23.000 abitanti, una crescita demografica continua a partire dal 1861, un insediamento ricco di storia che le fonti farebbero risalire intorno al 1235, data in cui fu edificato un castello cistercense attorno al quale crebbe lentamente il paese.
Un impianto urbano coinvolgente che si attesta sull’accostamento del centro storico antico e del tridente barocco (via Livia). Questo accostamento, a cui fa da snodo la chiesa di Santa Maria della Cima, configura l’immagine forte di una città articolata, dal punto di vista del patrimonio architettonico e della viabilità che lo sostiene: soprattutto quando dalla via dell’infiorata, la congiunzione al centro antico apre la vista al lago, dove dall’altra sponda il centro di Nemi lancia un dialogo continuo con Genzano.
Nemi e Genzano si guardano attraverso il lago – e i gabbiani che lo frequentano – e questa sorta di “minuetto” restituisce all’osservatore una forma mobile dei due centri, che si scoprono ogni volta diversi nella loro natura multiforme e nel rapporto tra acqua e boschi.
La parte barocca è organizzata attraverso un interessante sistema di triangolazioni: la cosiddetta “Genzano nuova” – il cui piano urbanistico fu portato a termine ai primi del 1700 da Livia Cesarini secondo un piano affidato dal padre Giuliano II all’architetto Ludovico Gregorini – alla quale tra la prima metà del XVII e l’inizio del XVIII secolo si aggiunse un secondo tridente, quello dove si svolge per l’appunto la manifestazione dell’infiorata..
Due tridenti, dunque, strutturano questa parte di città: il tridente edificato e il tridente olmato, quest’ultimo (XVII secolo) costituito da bellissimi e ampi viali alberati che mettono in comunicazione visiva la chiesa dei Cappuccini, il Palazzo Sforza-Cesarini (in attesa di trovare una nuova importante funzione urbana) e il Duomo vecchio.
Nella parte barocca il traffico è tiranno, il movimento e le auto in sosta vincono sulla presenza dell’uomo che viene inghiottito, anche se il Comune si è dotato di Piano del traffico e di Piano di zonizzazione acustica; la città fisica e il suo patrimonio sembrano voler essere liberati da questa prigionia che li attanaglia per sprigionare appieno la loro capacità di porsi, di mostrarsi e di coinvolgere. La salita della strada dell’infiorata (via I. Belardi) verso la chiesa di Santa Maria della Cima non riesce a “respirare” nel pieno splendore con cui è stata concepita e sembra umiliata, piegata a corpi estranei indesiderati.
Le attività commerciali appaiono poco organiche ai luoghi, frammentate, spezzettate, senza cura: sono lì per un’ineluttabilità, perché devono esserci: e la gente corre, senza essere invogliata fermarsi.
Il centro antico è depresso. Un degrado strisciante lo pervade. Si percorrono con piacere le piccole vie, si osservano gli edifici, uno diverso dall’altro compattati insieme dalla storia costruttiva, ma c’è disordine e scarsa cura delle cose: i recuperi edilizi sono pochi e non organizzati, il degrado sugli intonaci e per le strade appare pervasivo; qualche superfetazione si mostra “ignorante” dell’ambiente in cui si è sviluppata; negozi e botteghe artigiane sono pochissimi; pezzi di latta e arrangiamenti di piccoli spazi per depositi fanno spesso mostra nei vicoli. Ma un campanile che spunta e la presenza del lago, verso cui volgono i panni al vento stesi in una casa – segno di vita vera – sembra ridare vigore al vecchio borgo, nella certezza che qualcosa possa essere ancora fatto per riportarlo a un nuovo splendore.
Del resto, la variante al PRG, approvata nel 2005, contempla tra gli “interventi progettati” (intesi come ambiti territoriali strategici) anche il centro storico, per migliorarne la qualità della vita e dell’habitat. Inoltre, tra gli interventi ritenuti prioritari nel Programma di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio (Prusst), fanno bella mostra interventi, ancora non realizzati, che riguardano anche il centro storico: l’arredo urbano e i percorsi panoramici, nonché l’adeguamento e la ristrutturazione di Palazzo Sforza Cesarini.
Il Comune ha partecipato con successo al bando PRO.V.I.S., ottenendo il finanziamento per il progetto preliminare rivolto alla formazione di un piano per il restauro e il colore dei fronti edilizi dell’insediamento storico. Insieme al Comune di Frascati ha ottenuto, sempre attraverso lo stesso bando, il finanziamento per l’elaborazione del Regolamento per le insegne commerciali e altri impianti pubblicitari nei rispettivi centri storici.
A fronte di queste ricche risorse storiche, dei problemi evidenziati e dell’attività che, nel merito, l’amministrazione sta portando avanti, va evidenziato un fenomeno sociale di fondamentale importanza sul quale è necessario riflettere sia rispetto alle politiche di riqualificazione che alle politiche sociali: si registra un trasferimento della residenza dal centro storico agli insediamenti periferici a valle al quale corrisponde un progressivo incremento della presenza di immigrati nel centro storico medesimo.
scritto da Manuela Ricci |
Un impianto urbano coinvolgente che si attesta sull’accostamento del centro storico antico e del tridente barocco (via Livia). Questo accostamento, a cui fa da snodo la chiesa di Santa Maria della Cima, configura l’immagine forte di una città articolata, dal punto di vista del patrimonio architettonico e della viabilità che lo sostiene: soprattutto quando dalla via dell’infiorata, la congiunzione al centro antico apre la vista al lago, dove dall’altra sponda il centro di Nemi lancia un dialogo continuo con Genzano.
Nemi e Genzano si guardano attraverso il lago – e i gabbiani che lo frequentano – e questa sorta di “minuetto” restituisce all’osservatore una forma mobile dei due centri, che si scoprono ogni volta diversi nella loro natura multiforme e nel rapporto tra acqua e boschi.
La parte barocca è organizzata attraverso un interessante sistema di triangolazioni: la cosiddetta “Genzano nuova” – il cui piano urbanistico fu portato a termine ai primi del 1700 da Livia Cesarini secondo un piano affidato dal padre Giuliano II all’architetto Ludovico Gregorini – alla quale tra la prima metà del XVII e l’inizio del XVIII secolo si aggiunse un secondo tridente, quello dove si svolge per l’appunto la manifestazione dell’infiorata..
Due tridenti, dunque, strutturano questa parte di città: il tridente edificato e il tridente olmato, quest’ultimo (XVII secolo) costituito da bellissimi e ampi viali alberati che mettono in comunicazione visiva la chiesa dei Cappuccini, il Palazzo Sforza-Cesarini (in attesa di trovare una nuova importante funzione urbana) e il Duomo vecchio.
Nella parte barocca il traffico è tiranno, il movimento e le auto in sosta vincono sulla presenza dell’uomo che viene inghiottito, anche se il Comune si è dotato di Piano del traffico e di Piano di zonizzazione acustica; la città fisica e il suo patrimonio sembrano voler essere liberati da questa prigionia che li attanaglia per sprigionare appieno la loro capacità di porsi, di mostrarsi e di coinvolgere. La salita della strada dell’infiorata (via I. Belardi) verso la chiesa di Santa Maria della Cima non riesce a “respirare” nel pieno splendore con cui è stata concepita e sembra umiliata, piegata a corpi estranei indesiderati.
Le attività commerciali appaiono poco organiche ai luoghi, frammentate, spezzettate, senza cura: sono lì per un’ineluttabilità, perché devono esserci: e la gente corre, senza essere invogliata fermarsi.
Il centro antico è depresso. Un degrado strisciante lo pervade. Si percorrono con piacere le piccole vie, si osservano gli edifici, uno diverso dall’altro compattati insieme dalla storia costruttiva, ma c’è disordine e scarsa cura delle cose: i recuperi edilizi sono pochi e non organizzati, il degrado sugli intonaci e per le strade appare pervasivo; qualche superfetazione si mostra “ignorante” dell’ambiente in cui si è sviluppata; negozi e botteghe artigiane sono pochissimi; pezzi di latta e arrangiamenti di piccoli spazi per depositi fanno spesso mostra nei vicoli. Ma un campanile che spunta e la presenza del lago, verso cui volgono i panni al vento stesi in una casa – segno di vita vera – sembra ridare vigore al vecchio borgo, nella certezza che qualcosa possa essere ancora fatto per riportarlo a un nuovo splendore.
Del resto, la variante al PRG, approvata nel 2005, contempla tra gli “interventi progettati” (intesi come ambiti territoriali strategici) anche il centro storico, per migliorarne la qualità della vita e dell’habitat. Inoltre, tra gli interventi ritenuti prioritari nel Programma di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio (Prusst), fanno bella mostra interventi, ancora non realizzati, che riguardano anche il centro storico: l’arredo urbano e i percorsi panoramici, nonché l’adeguamento e la ristrutturazione di Palazzo Sforza Cesarini.
Il Comune ha partecipato con successo al bando PRO.V.I.S., ottenendo il finanziamento per il progetto preliminare rivolto alla formazione di un piano per il restauro e il colore dei fronti edilizi dell’insediamento storico. Insieme al Comune di Frascati ha ottenuto, sempre attraverso lo stesso bando, il finanziamento per l’elaborazione del Regolamento per le insegne commerciali e altri impianti pubblicitari nei rispettivi centri storici.
A fronte di queste ricche risorse storiche, dei problemi evidenziati e dell’attività che, nel merito, l’amministrazione sta portando avanti, va evidenziato un fenomeno sociale di fondamentale importanza sul quale è necessario riflettere sia rispetto alle politiche di riqualificazione che alle politiche sociali: si registra un trasferimento della residenza dal centro storico agli insediamenti periferici a valle al quale corrisponde un progressivo incremento della presenza di immigrati nel centro storico medesimo.
scritto da Manuela Ricci |
Per la rubrica Centri Storici – Numero 59 febbraio 2007
LANUVIO un borgo che può diventare “unico”
Lanuvio: un borgo che può diventare “unico”
Tre nuclei per una città storica che si snoda in lunghezza dalla pianura alla collina, guardando da lontano il mare.
Partendo dalle “casette” di borgo San Giovanni, si sale lentamente verso il borgo medioevale fino ad arrivare al santuario di Giunone Sospita, causa della fortuna – riferimento per il culto nel Lazio antico e nell’intera area mediterranea –. E al medesimo tempo della caduta di Launvio, con la chiusura dei templi pagani voluta da Teodosio.
Il borgo medioevale, con le sue piccole strade e spazi chiusi, narra di qualcosa che è stato e che vorrebbe rinascere: i ripetuti bombardamenti della seconda guerra mondiale ne hanno distrutto circa l’80%. Le ricostruzioni, effettuate con materiali di fortuna, sono state sommarie e grossolane (nonostante il piano di ricostruzione). A ciò si aggiungano le superfetazioni successive, alla ricerca di un bagno inesistente nell’alloggio, di una camera in più per allargare gli spazi rivolti alla famiglia che cresce.
Colori che si accostano; panni stesi; materiali di risulta utilizzati per creare nuovi piccoli volumi; qualche bottega di alimentari e di artigianato.
La sensazione che si avverte è di estrema compattezza: tutto è contenuto, stretto, attaccato. Questa dimensione di compattezza si apre con un vasto respiro ambientale nella parte archeologica e si frantuma, in basso, nelle “casette” fino ad arrivare al territorio lasco dei nuclei insediativi della pianura.
Le mura costituiscono un elemento di grande forza, da qualunque parte le si osservi: le mura latine appaiono incombenti dalla Anziatina; il potente sipario da un lato e l’apertura sulla valle, dall’altro, costruiscono uno spazio di percorso che invita alla distensione. All’ingresso del borgo, invece, la presenza delle mura – che risalgono al XIII secolo – chiama l’individuo a misurarsi con la pietra, di cui si avverte distintamente la tessitura materica; la torre appare aggredita da un edificio arancione, con portico pilastrato, che le si attanaglia attorno quasi per impadronirsene e stabilire una gerarchia di presenze. L’idea che attraverso subito la mente è “demolire”. Ma dopo aver girato per il borgo, quando l’occhio ha assorbito e registrato le incongruenze lessicali, strutturali e di colore, un altro pensiero emerge: e se le “contaminazioni” di questo centro divenissero l’occasione per fare del borgo qualcosa di unico, di originale: un luogo di “innesto” tra storia e modernità che si incardini non solo nelle svariate attività e manifestazioni che il centro accoglie nel corso dell’anno (in particolare musica e vino) ma anche nel costruito. Se l’edificio arancione fosse ri-vestito, fosse modificato a diventare una nuova architettura, un nuovo punto di riferimento “insieme” alla torre, per costruire un accordo “dimensionale” tra le parti; se le superfetazioni diventassero incastonature morfologiche, gemmazioni di materia che prendono vita dal borgo; se il sottosuolo si rivitalizzasse, creando continuità e connessioni fino a inglobare il teatro romano: un concorso da rivolgere ai giovani architetti per fare del borgo un gioiello che esploda anche nella configurazione degli spazi fisici, in cui la commistione della popolazione autoctona e degli immigrati (che numerosi abitano il centro) possa dare nuovo vigore all’identità, nella discontinuità delle culture, o guardare più in là, a un riuso diversificato del patrimonio storico.
Il lavoro di rilievo dell’edificato che l’amministrazione sta portando avanti costituisce la base essenziale per avviare questo progetto, che andrebbe tenuto lontano dalle leziosità della ricostruzione del caratteristico e del tipico che congelerebbe storie già sconvolte.
E così Civitas Novina, Civita Lavinia, Lanuvio potrebbe riprendere le fila di quella rete territoriale (incarnata dalla Lega Latina) così chiara nelle città dei Castelli che si parlano guardandosi dall’alto e nelle quali, a sorpresa, si aprono nei tessuti del centro storico piazze improvvise come terrazze sull’infinito.
scritto da Manuela Ricci |
Partendo dalle “casette” di borgo San Giovanni, si sale lentamente verso il borgo medioevale fino ad arrivare al santuario di Giunone Sospita, causa della fortuna – riferimento per il culto nel Lazio antico e nell’intera area mediterranea –. E al medesimo tempo della caduta di Launvio, con la chiusura dei templi pagani voluta da Teodosio.
Il borgo medioevale, con le sue piccole strade e spazi chiusi, narra di qualcosa che è stato e che vorrebbe rinascere: i ripetuti bombardamenti della seconda guerra mondiale ne hanno distrutto circa l’80%. Le ricostruzioni, effettuate con materiali di fortuna, sono state sommarie e grossolane (nonostante il piano di ricostruzione). A ciò si aggiungano le superfetazioni successive, alla ricerca di un bagno inesistente nell’alloggio, di una camera in più per allargare gli spazi rivolti alla famiglia che cresce.
Colori che si accostano; panni stesi; materiali di risulta utilizzati per creare nuovi piccoli volumi; qualche bottega di alimentari e di artigianato.
La sensazione che si avverte è di estrema compattezza: tutto è contenuto, stretto, attaccato. Questa dimensione di compattezza si apre con un vasto respiro ambientale nella parte archeologica e si frantuma, in basso, nelle “casette” fino ad arrivare al territorio lasco dei nuclei insediativi della pianura.
Le mura costituiscono un elemento di grande forza, da qualunque parte le si osservi: le mura latine appaiono incombenti dalla Anziatina; il potente sipario da un lato e l’apertura sulla valle, dall’altro, costruiscono uno spazio di percorso che invita alla distensione. All’ingresso del borgo, invece, la presenza delle mura – che risalgono al XIII secolo – chiama l’individuo a misurarsi con la pietra, di cui si avverte distintamente la tessitura materica; la torre appare aggredita da un edificio arancione, con portico pilastrato, che le si attanaglia attorno quasi per impadronirsene e stabilire una gerarchia di presenze. L’idea che attraverso subito la mente è “demolire”. Ma dopo aver girato per il borgo, quando l’occhio ha assorbito e registrato le incongruenze lessicali, strutturali e di colore, un altro pensiero emerge: e se le “contaminazioni” di questo centro divenissero l’occasione per fare del borgo qualcosa di unico, di originale: un luogo di “innesto” tra storia e modernità che si incardini non solo nelle svariate attività e manifestazioni che il centro accoglie nel corso dell’anno (in particolare musica e vino) ma anche nel costruito. Se l’edificio arancione fosse ri-vestito, fosse modificato a diventare una nuova architettura, un nuovo punto di riferimento “insieme” alla torre, per costruire un accordo “dimensionale” tra le parti; se le superfetazioni diventassero incastonature morfologiche, gemmazioni di materia che prendono vita dal borgo; se il sottosuolo si rivitalizzasse, creando continuità e connessioni fino a inglobare il teatro romano: un concorso da rivolgere ai giovani architetti per fare del borgo un gioiello che esploda anche nella configurazione degli spazi fisici, in cui la commistione della popolazione autoctona e degli immigrati (che numerosi abitano il centro) possa dare nuovo vigore all’identità, nella discontinuità delle culture, o guardare più in là, a un riuso diversificato del patrimonio storico.
Il lavoro di rilievo dell’edificato che l’amministrazione sta portando avanti costituisce la base essenziale per avviare questo progetto, che andrebbe tenuto lontano dalle leziosità della ricostruzione del caratteristico e del tipico che congelerebbe storie già sconvolte.
E così Civitas Novina, Civita Lavinia, Lanuvio potrebbe riprendere le fila di quella rete territoriale (incarnata dalla Lega Latina) così chiara nelle città dei Castelli che si parlano guardandosi dall’alto e nelle quali, a sorpresa, si aprono nei tessuti del centro storico piazze improvvise come terrazze sull’infinito.
scritto da Manuela Ricci |
Per la rubrica Centri Storici – Numero 60 marzo 2007
Posted in Promozioni
Tagged Agriturismo, Bed and Breakfast, Castelli Romani, Civita Lavinia, Civitas Novina, Colle Ionci, Hotel, Lanuvio, ROMA
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