MONTEPORZIO CATONE un borgo che nasconde nel proprio ventre una ricchezza che stupisce

Monteporzio Catone

Un borgo che nasconde nel proprio ventre una ricchezza che stupisce

Un piccolo borgo (circa 1.200 abitanti), di fondazione seicentesca, che si erge su una collina al centro di un territorio ricco di storia, le cui vestigia costituiscono ancora elementi strutturanti del paesaggio: il Tuscolo, le ville tuscolane, l’eremo di Camaldoli, il Barco Borghese, ricchezze incredibili sparse nella campagna che il borgo domina dal piccolo anello carrabile che lo circonda.
Ma non è soltanto con lo sguardo dall’alto al basso che è possibile coniugare le due dimensioni. Il territorio, infatti, entra di prepotenza nel borgo, incuneandosi attraverso le visuali nelle stradine parallele a piazza Borghese.
E, così, prima che il duomo – evidente già dal basso – possa essere raggiunto, partendo dal palazzo Borghese, il passo viene rallentato e cadenzato dalla forza degli sfondi di paesaggio.
La pulsione centripeta verso il duomo e quella centrifuga verso la campagna impongono, così, al visitatore – pur se si tratta di un tratto molto breve – ciascuna un proprio ritmo che va componendosi nel percorso.
Soltanto quando si arriva sulla piazza del Duomo, opera di Carlo Rainaldi che lo iniziò nel 1666, si avverte il “tridente”: una piazza barocca in miniatura che si percepisce con sorpresa, la cui pregnante struttura non viene sostanzialmente scalfita dalle superfetazioni, dai colori impropri, dalle ricostruzioni degli edifici che vi si affacciano.
Stare nel centro – che mantiene ancora il ruolo di cuore della comunità e della vita del paese – con la consapevolezza di essere pervasi dall’esterno; è la stessa sensazione restituita dal piccolo Museo della città che, con amore, ne ricostruisce la storia e le vecchie immagini, facendone percepire l’articolazione delle dimensioni.
La realizzazione a valle di un circuito pedonale, già in parte tracciato, che è nelle intenzioni dell’amministrazione realizzare, potrebbe rivestire un significativo ruolo di mediazione tra il “sopra” e il “sotto”.
Se il territorio è cosparso di una notevole quantità di patrimonio storico che è, comunque, variamente visibile da diversi punti di osservazione, Monteporzio nasconde nel proprio ventre una ricchezza che stupisce: il complesso archeologico del Barco Borghese.
Vi si accede in sordina; una strada di campagna conduce a una spianata tra gli ulivi dove si erge una potente struttura romana. Lo stupore potrebbe fermarsi qui; ma penetrando all’interno si moltiplica la meraviglia: volte a botte a sesto ribassato si susseguono con un ritmo labirintico, alternandosi a spazi vuoti in cui penetra la luce; viene da pensare al foro romano, alle terme e, invece, siamo in presenza di una struttura appositamente costruita per sopraelevare il piano di realizzazione di una villa romana. Ma quanta nuova vita potrà percorrere la storia di questi spazi che verranno rifunzionalizzati ad attività culturali e museali!
La cura del nucleo storico e dell’ambiente è una preoccupazione del comune, che a questi due aspetti si dedica con attenzione attraverso progetti di riqualificazione e di “costruzione” del rispetto ecologico. La sostanziale salvaguardia delle pendici del Tuscolo, le misure volte al risparmio energetico, la promozione della bioarchitettura e della raccolta differenziata, la progressiva diffusione delle compostiere tra i cittadini costituiscono senz’altro punti di partenza importanti per cominciare a pensare in modo “sostenibile”.
La comunità è consapevole della ricchezza del proprio patrimonio, circostanza confermata dalla presenza di numerose associazioni, raccolte da una Consulta, che, in un modo o nell’altro, si occupano di cultura, sollecitando e proponendo all’amministrazione attività e programmi di valorizzazione del territorio, che si aggiungono a quelli legati al museo del vino e alla necessità di promuovere le cantine, che stanno crescendo soprattutto con il loro “rossi”. Ciò, contrasta, però, con il livello di “estraneità” dei nuovi abitanti, provenienti per lo più dalla capitale, che risiedono nelle nuove lottizzazioni e che, comunque, devono far riferimento al nucleo storico come centro urbano e di socialità. Nuovi progetti sono in corso di predisposizione per creare altri spazi pubblici che forse potranno costituire strutture di centralità urbana.scritto da Manuela Ricci |

Per la rubrica Centri Storici – Numero 61 aprile 2007
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ARICCIA una città da ricomporre

Ariccia, una città da ricomporre

Vista della città di Ariccia Un “corpo” urbano articolato da uno snodo architettonico del ‘600: il complesso berniniano fa da cerniera tra il centro storico, che si abbarbica ai bracci della chiesa di Santa Maria dell’Assunta, e il vasto bosco del Parco Chigi – che si estende per ben 27 ettari dietro al Palazzo baronale – quanto resta delle selve che un tempo coprivano i Colli Albani.
Questa immagine si legge chiara e imponente dalla foto satellitare; ma percorrendo a piedi la piazza o il viadotto “delle arcate”, inaugurato nel 1854 da Pio IX, l’individualità di queste tre parti (il complesso berniniano, il bosco e il centro storico) non si manifesta con la stessa evidenza; Ariccia appare una realtà sfrangiata, poco compatta e disarticolata.
Il bosco non si avverte in tutta la sua imponenza: appare come tagliato dal Palazzo; ne emergono due parti: quella più visibile dal viadotto, dove l’occhio è, purtroppo, costretto a passare attraverso la rete messa in opera per impedire incidenti, e quella più compressa dal muro di recinzione sulla strada laterale. Nonostante ciò, si percepisce, soprattutto guardando dal ponte, la ricchezza della vegetazione: fittissima, intricata che, salendo con la collina, tende a mostrare la sua impenetrabilità di verdi diversi accostati tra loro, che non lascia intuire la presenza di una massicciata percorribile realizzata durante la guerra.
La piazza di Corte, con il complesso berniniano, è il cuore ferito della città. Lo attraversa brutalmente la strada diretta a Velletri, che fa del viadotto l’ingresso alla città, dopo aver quasi svuotato di senso l’asse Porta Napoletana-Porta Romana che costituiva la vecchia arteria di penetrazione.
Del centro storico è difficile presupporre l’esistenza e soprattutto la consistenza: si nasconde, raggrumato dietro la grande mole della chiesa, quasi a volersi schernire di fronte a valori architettonici di più ampio respiro. E quasi, forse, a voler nascondere le sovrastrutture e le ricorrenti impietose superfetazioni ed alcuni imponenti volumi incongrui rispetto al tessuto preesistente che, nel corso degli anni, ne hanno messo a rischio l’organica identità. Nonostante sia ancora presente il peperino nero locale e la “dichiarazione esterna” dei tinelli, quasi tutti trasformati in abitazioni.
Di fatto, dunque, non esiste dialogo tra le tre parti e lo snodo ferito appare mortificato a causa del ruolo perduto.
Come ricomporre la città, ri-attivare le funzioni storiche, ri-comporre il corpo nelle sue pur diverse articolazioni?
L’amministrazione sta lavorando su questo tema, emblematico e strategico rispetto alla riqualificazione urbana e alla qualità del vivere e dell’abitare: un nuovo piano regolatore (quello vigente è del 1977, e ha visto già numerose varianti) e un progetto per ripristinare l’unitarietà del complesso berniniano pedonalizzando il viadotto. L’idea è quella di deviare il traffico lungo il confine del Parco Chigi e di creare un parcheggio multipiano interrato in località.
Questo consentirebbe di liberare la piazza dal traffico e di far respirare di nuovo il corpo articolato della città liberandolo dai flussi di attraversamento.
I lavori in corso per la ripavimentazione dell’asse che attraversa il centro storico, e la sua prevista pedonalizzazione, costituiscono soltanto l’inizio di un processo più ampio destinato a restituire contenuto all’abitato anche attraverso un centro commerciale naturale e una rivisitazione dell’immagine delle fraschette.
A ciò si aggiunga la valorizzazione del patrimonio archeologico: il collegamento con il parco dell’Appia, in relazione agli scavi in corso dell’antica Aricia, all’interno del quale il Comune dovrebbe essere inserito; la villa Volterra ricca di reperti archeologici.
Ma oltre ai suoi valori di città storica, Ariccia è anche una città verde, che sta completando il suo percorso di definizione strutturale. Il Comune ha fatto delle scelte lungimiranti con l’acquisizione nel corso degli ultimi anni di numerose aree incolte e verdi che sta man mano sistemando e rendendo fruibili alla cittadinanza; e ancora, oltre al polmone del Parco Ghigi, Ariccia è proprietaria di circa 17 ettari che sono localizzati amministrativamente nel Comune di Albano e che potrebbero essere utilmente ricollegati con il Parco stesso.
In tutto questo non manca l’attenzione al welfare: la realizzazione del futuro policlinico destinato a sostituire i numerosi “ospedaletti” dei Castelli e a fare di Ariccia un centro propulsore di servizi di alta qualità per il territorio.
In sintesi, un progetto, quello dell’amministrazione, volto a “rivoltare” l’immagine del comune e a disseminare enzimi di innovazione culturale anche attraverso l’approfondimento degli interventi di formazione e scambio con realtà internazionali e la localizzazione della biblioteca nella casina del ministro sulla piazza berniniana.scritto da Manuela Ricci |

Per la rubrica Centri Storici – Numero 62 maggio 2007
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NEMI un piccolo gioiello che potrebbe essere facilmente incrinato

Nemi: un piccolo gioiello che potrebbe essere facilmente incrinato

Abbarbicato alla collina e proteso verso il lago, con un’area di circa 736 ettari, interamente inseriti nel Parco dei Castelli Romani, Nemi sembra voler porre un freno a priori all’affollamento che nei giorni festivi, suo malgrado, lo invade.
Un piccolo gioiello – insignito della bandiera arancione dal Touring Club – che potrebbe essere facilmente incrinato.
Una fragilità manifesta che si protende verso il lago, la cui presenza entra attraverso i vicoli, “sospendendolo” sull’acqua, proprio quell’acqua che si fa mezzo di comunicazione visiva con Genzano e il resto del territorio, a denunciare l’esistenza di una rete urbana che rompe quella sorta di isolamento del piccolo abitato, percepibile, solo inizialmente, dal visitatore.
Si arriva da Genzano sulla piazza Roma e si è risucchiati immediatamente dal sistema lineare dell’insediamento attraverso l’imbuto di Corso Vittorio Emanuele, stretto e continuo, che denuncia la raccolta dimensione del centro.
Piccoli negozi, ristoranti, muri scrostati, san pietrini lungo il percorso, verde e gerani sui balconi e sui parapetti “inventati” delle finestre. Luoghi “costretti”, stipati di cose e di attività, di voglia di manifestare una presenza e un modo di vita.
Si comincia a salire verso il bosco sui gradini intagliati nella strada con i ricorsi di travertino. Le case intonacate con colori vari e diverso stato di manutenzione aprono alla piazzetta del Municipio con la grande chiesa di Santa Maria del Pozzo che con il suo prepotente volume rosa domina l’abitato minuto.
Ancora vasi di fiori disposti in maniera irregolare, inferriate, sopraelevazioni perlomeno inopportune; si comincia ad approfondire il senso/presenza di più dimensioni: la torre del castello Ruspoli che emerge dai tetti e il campanile della chiesa accanto al tessuto edilizio minore.
Quattro dimensioni, dunque, percorrono Nemi: l’abitato contenuto; le emergenze civili e religiose; il denso del bosco, e il “vuoto” della conca del lago; alternativamente ci si sente sospesi, trascinati, innalzati, radicati; sensazioni destabilizzanti che vanno a unità d’immagine soltanto nel lavoro di ricomposizione cui si predispone l’animo durante l’attraversamento del borgo.
Al fine di poter materialmente ritrovare questa unità, il comune ha emanato un concorso di idee per il “Collegamento percettivo e funzionale tra borgo storico e lago”, attualmente collegati da una strada provinciale, con l’obiettivo di connettere le due entità – tra le quali esiste una differenza altimetrica di circa 200 mt – mediante una soluzione alternativa di basso impatto ambientale e fortemente integrata nel contesto.
Sono stati presentati 26 progetti, di cui tre hanno avuto il premio. Il primo classificato ha proposto la realizzazione di un ascensore seguito nel secondo tratto da un tapis roulant. Sono previsti, inoltre, due parcheggi, uno nella parte alta, in corso di realizzazione, e uno nella parte bassa da realizzare contestualmente al progetto del collegamento.
Il territorio – ricco di siti archeologici, il tempio di Diana nemorense, l’Emissario romano, la Villa di Cesare, il museo della navi romane – è sottoposto, al fine di conservarne la ricchezza e proteggerne la fragilità, a numerosi vincoli (in particolare idrologico, archeologico e paesaggistico) ed è regolato da una nuova variante al Piano regolatore generale, approvata dalla Regione nel 2005. Questa è improntata al minimo consumo di suolo: un’attenta valutazione dello sviluppo di edilizia residenziale privata e pubblica; una quantificazione corretta degli insediamenti turistici; un’attenzione specifica alla salvaguardia ambientale (la localizzazione delle attività economiche è stata prevista in modo da non arrecare disturbo alla popolazione; sono inoltre salvaguardati i caratteri geomorfologici delle zone di dissesto, l’idrologia, gli elementi storici e archeologici e i boschi); si prevedono azioni di riqualificazione urbanistica per le zone residenziali nonché il mantenimento delle zone agricole dedicate alla floricoltura, fondamentale attività economica del paese.
Il Prusst “Latium Vetus”, al quale il comune aderisce, ha individuato una serie di interventi, peraltro ancora non realizzati, di importanza vitale per il centro: un sistema integrato di parcheggi; sentieri pedonali, piattaforma ecologica, diverse forme di valorizzazione dei beni archeologici e storico-ambientali (acquisto e restauro del castello Ruspoli, valorizzazione della Conca del lago; creazione di una pista ciclabile Nemi-Genzano).
Per il borgo sono in corso lavori relativi ai sottoservizi e alla pavimentazione.  Inoltre il comune ha ottenuto dalla regione 340.000 euro per il recupero dei prospetti esterni degli edifici e per la demolizione delle superfetazioni. Il progetto, che prevede una convenzione con i privati, andrà presentato alla regione entro il mese di giugno; presumibilmente i lavori potranno partire a fine anno.
In tal modo sarà restituita un’immagine unitaria all’insediamento storico che, allo stato attuale, vede soltanto riqualificazioni di singoli immobili, spesso soltanto di singole unità abitative, realizzate con criteri disorganici e poco omogenei.scritto da Manuela Ricci |

Per la rubrica Centri Storici – Numero 63 giugno 2007
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ALBANO una struttura urbana che trasuda storia e cultura, condannata dai flussi del traffico

ALBANO: una struttura urbana che trasuda storia e cultura, condannata dai flussi del traffico

Una ragnatela di strade strette e compatte che strutturano un centro di circa 37.000 abitanti in continua crescita demografica dal 1861; un centro che trasuda storia e cultura avvertibili anche al primo impatto; un centro, però, “condannato” dai flussi di traffico su gomma che invadono pesantemente le piccole vie, rendendo difficile anche percorrerle a piedi, e snaturando il percorso dell’Appia, in cui il mix del locale e dei flussi di attraversamento si mescolano definendo funzioni senza contorni.
Di fatto, è un po’ la situazione che si registra in tutti i Castelli romani, ma ad Albano appare esacerbata anche in rapporto alla ricchezza viva della sua storia.
Purtroppo le auto, con i problemi dei flussi e della sosta, incidono su due elementi: da un lato mettono fuori scala la dimensione del centro storico, deformandone la godibilità e la vivibilità, e dall’altro creano sovrapposizione di funzioni (per l’appunto traffico locale e di attraversamento), difficilmente controllabili, che snaturano riconoscibilità e identità del luogo.
La struttura urbana è suggestiva e di grande interesse. Dalla chiesa di San Paolo si diparte il tridente, schermato da un bel palazzo settecentesco, che scende verso la via Appia: al suo interno alcune vestigia della civiltà romana, come la chiesa di Santa Maria della Rotonda, ricavata da un ninfeo di un’antica villa romana, e il “cisternone”, una grande riserva d’acqua costruita dai romani e ancora funzionante.
Il percorso, man mano che si va dalla piazza San Paolo fino ad arrivare all’arteria consolare, mostra una significativa intensificazione della densità delle funzioni urbane e della frequenza antropica; una faticosa discesa dal rarefatto – l’ampia piazza, anche se diventata parcheggio; con alle spalle il convento dei Cappuccini e l’anfiteatro romano – verso “l’altro”, dove contano il movimento, la velocità, l’affollamento, la concentrazione di flussi e di attività. Dove, però, nella velocità quotidiana, qualcosa induce ancora a fermarsi per farsi prendere dalla storia, come ad esempio il Palazzo Lercari, sede della Curia vescovile e l’Esedra della Pace, nel cui spazio antistante sembra ancora possibile guadagnarsi un luogo per “tirare il fiato”.
Al di là dell’Appia, riprende la prevalenza del locale, legata anche alla forte presenza di quanto rimane della Porta Pretoria e delle Terme di Cellomaio – nelle quali è stata ricavata la bellissima chiesa di San Pietro – al parco della rimembranza e al cosiddetto sepolcro degli Orazi e Curiazi.
Le Terme, in particolare, destano curiosità per il loro essersi strutturalmente avvinghiate a edificazioni successive in un incastro stratificato di storie urbane che andrebbe valorizzato, a fronte dello stato di degrado in cui versa tutto il complesso.
Sembrano quasi due città diverse, in uno spazio molto delimitato, rispetto alle quali l’ampia piazza Savelli e la cattedrale (1721) ricoprono un nodo di snodo tra il lasco e il concentrato
Una sorta di sandwich, dunque, in cui le due facce del locale – a monte e a valle dell’Appia – veicolano quei flussi di attraversamento che percorrono non pochi centri dei Castelli e che fanno perdere il senso della continuità della consolare e del suo ruolo storico nel territorio.
Una città densa di storia, in cui dai cantieri aperti traspare la volontà di riqualificazione di un patrimonio, anche privato, che richiede più cura e attenzione di quanta non gliene sia stata dedicata fino a oggi, anche per far rivivere il suo ruolo di centro di riferimento della Lega latina nel contesto delle articolate trame territoriali.
Del resto, le attività promosse per la rivitalizzazione e l’animazione cittadina nonché per la formazione – mostre fotografiche, manifestazioni varie per l’estate 2007, il cinetour, la manifestazione “solidali fino alle stelle” e ancora i laboratori multimediali, i corsi primaverili di cultura e spettacolo e via dicendo – mostrano una volontà da parte dell’amministrazione e dell’associazionismo locale a percorrere una strada che intende coniugare le azioni di riqualificazione fisica con quelle di natura immateriale.

scritto da Manuela Ricci |

Per la rubrica Centri Storici – Numero 64 luglio 2007
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CASTELGANDOLFO un piccolo sistema urbano in un’aurea di magico isolamento

Castelgandolfo, un piccolo sistema urbano in un’aurea di magico isolamento

Veduta di CastelgandolfoCastelgandolfo, posto sul bordo occidentale dell’antico cratere vulcanico che ospita il lago Albano, sorge, secondo un’ipotesi ormai largamente condivisa, sul luogo di Alba Longa, culla della civiltà latina, leggendariamente fondata da Ascanio, figlio di Enea.
Di fatto questo ruolo storico, sostanzialmente “non svelato” – nessuno porrebbe mente a questa circostanza andando a Castelgandolfo senza aver letto prima qualche notizia turistica – non è valorizzato, pur essendo d’importanza strategica per la storia dell’insediamento e per le sue successive trasformazioni territoriali. Dai Latini ai Romani, dai Romani (Tullio Ostilio la distrusse nel VII secolo) al Medioevo ai primi papi (Clemente VIII e Pio V che lo incorporò nel dominio papale), alle famiglie nobili del Rinascimento e ai successivi papi (Urbano VII e Alessandro VII e Clemente XIV), un’alternanza di domini e di poteri ha plasmato questo territorio lasciandovi tracce che si sono sedimentate, intrecciate, contaminate.
Un piccolissimo borgo tardo-medioevale – di cui si ritrovano tracce concrete intorno al X secolo intorno alla rocca dei Gandolfi – che, come una miniatura, sembra poter essere contenuto in una mano: questa è la prima impressione che si ha percorrendo la piazza della Libertà, di splendido stampo barocco, con la fontana e l’emergenza sul Corso della chiesa di San Tommaso da Villanova, entrambe attribuite al Bernini.
In realtà, a Castelgandolfo si consuma una significativa opposizione tra due dimensioni, l’una civile e l’altra religiosa, molto minuta la prima, molto forte la seconda, opposizione in cui si è cristallizzato, oggi, l’esito dell’articolata alternanza di domini che hanno indotto trasformazioni territoriali di notevole rilievo.
Al borgo minuto si contrappone non solo la grande chiesa berniniana ma anche la residenza estiva del papa che si apre su Piazza della Libertà, la cui facciata fa presupporre l’imponenza del complesso. Costruito nella prima metà del 1600 da Urbano VIII sulle rovine del castello dei Savelli, e successivamente ampliato anche attraverso l’incorporazione di splendide ville, attualmente il palazzo con parchi e giardini è di proprietà della Santa Sede.
In particolare il parco, che si estende a cavallo tra i comuni di Castelgandofo e di Albano, ricopre circa 55 ettari entro cui sono immersi i resti delle ville di Domiziano e di Clodio.
Si accompagna a questa “dimensione”, fuori scala rispetto al borgo, la cupola argentata dell’Osservatorio astronomico che non fa altro che rafforzare l’assoluto sentirsi piccoli sulla piazza.
Ma dando le spalle al palazzo papale e proseguendo per il Corso, o per la piccola strada a questo parallela, prevale la dimensione dell’ “umano”, delle piccole case e delle botteghe artigiane, dalle quali traspare la presenza di un turismo continuamente presente, legato soprattutto alla residenza papale.
Si tratta certamente di uno dei centri storici meglio conservati tra quelli dei Castelli Romani. La piazza della Libertà e la via del Corso sono state recentemente rinnovate nella pavimentazione e nell’arredo urbano per mano del progetto di un architetto di riconosciuta fama. Ciò nonostante, soprattutto nella strada parallela al Corso, non possono fare a meno di emergere le superfetazioni che riguardano ogni volume abitativo, legate soprattutto all’ampliamento delle superfici degli alloggi per la creazione di servizi igienici.
Il suo arroccamento, a 426 metri sul livello del mare, consente al borgo di attivare splendidi sguardi sul territorio circostante: da una parte il lago, alternativamente denominato di Albano e di Castelgandolfo – quasi a non volerne riconoscere mai un “padrone” definito – che si offre alla vista vicino al palazzo papale, ma anche da squarci che si aprono attraverso le strette vie; dall’altra la vasta estensione della campagna romana.
Si ha come la sensazione di essere sospesi in alto, di camminare su una piattaforma galleggiante, costituita dal sistema della piazza e delle piccole strade che da questa si dipartono fino ad arrivare alla “Galleria di sopra” che conduce al Convento dei Cappuccini, cosicché sembra spezzarsi l’aurea di magico isolamento del piccolo sistema urbano, che si trova, forse nonostante la sua volontà, a riconoscersi parte di un territorio infrastrutturato e magicamente verde.

scritto da Manuela Ricci |

Per la rubrica Centri Storici – Numero 68 febbraio 2008
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