MONTECOMPATRI l’austera
Una molteplicità di “stili”urbani compatti e ordinati
La stratificazione edilizia di diversi periodici storici caratterizza numerosi comuni dei Castelli Romani, ma in nessuno sembra così “ordinata” come a Montecompatri, in successioni che, come in una sorta di spirale, vanno dal periodo più recente a quello più lontano.
Nella parte più antica e più alta (poco più di 500 mt) insiste il cosiddetto Borgo del Ghetto, con una piccola e raccolta piazza a cui si accede dal sistema della piazza del Duomo, di origine seicentesca e ampliato nell’ottocento.
Un centro storico, dunque, che vede una molteplicità di presenze di “stili” urbani, ma compatti e ordinati; colpisce il senso di austerità che proviene dall’organizzazione edilizia, dalla tessitura e dal colore dei materiali.
Anche se lo stato di conservazione dei manufatti non è perfetto e presenta alcune discontinuità, si avverte un senso di cura sia da parte degli abitanti che da parte dell’amministrazione – alcuni lavori di sottoservizi e di ripavimentazione stradale sono in corso – che si esplicita anche nell’intenzione, recentemente espressa, di realizzare nel centro storico un centro commerciale naturale.
Tre anelli gli girano intorno formando e definendo gli strati storici. Il primo è quello delle vecchie mura medioevali, di cui sono rimaste poche tracce, che racchiude il Borgo del Ghetto; il secondo è la via Placido Martini e la via Carlo Felici ancora interna al centro storico; la terza è costituita da viale Cavour, viale Europa e via Adolfo Croce che lo lambiscono ai margini del nuovo.
Tra gli ultimi due anelli esiste una serie di comunicazioni che si realizzano attraverso un sistema di scalette ricorrenti: sulla via Placido Martini si aprono una serie di portali da cui partono le scale, che aprono mirabili visuali verso la campagna. Quando il tempo è sereno è un vero spettacolo per gli occhi, Palestrina, i Monti Simbruini, le prime propaggini delle catene montuose dell’Abruzzo e la Valle del Sacco. Queste visuali si aprono anche in quelle “terrazze sull’infinito” che sono presenti in quasi tutti i Castelli Romani, ma mai con la frequenza con cui si presentano a Montecompatri, inducendo nel visitatore un senso continuo di sorpresa che si apre tra i vicoli.
Quando c’è la nebbia, le visuali sulla campagna scompaiono in una sorta di manto ovattato di cui appare ammantato tutto il centro storico; allora a governare le emozioni è come un senso di isolamento in cui il centro stesso appare immerso nel distaccarsi dalla terra.
La storia di Montecompatri è anche una storia di acqua, di cui per primo si fece protagonista Scipione Borghese, nipote di Paolo V, a cui il Papa affidò il Principato di cui faceva parte Montecompatri e che derivava dalla trasformazione, tramite Bolla, del vecchio feudo.
Una storia che ha visto il trasporto dell’acqua dalla valle fino al Borgo del Ghetto attraverso una serie di gallerie e di fontane. La prima fu la vasca in sperone – splendido materiale vulcanico che “colora” molti edifici, ornati e portali del centro storico – che portò l’acqua dalla Molara davanti al palazzo Borghese, la cui edificazione fu iniziata dagli Altemps. Nel 1852 la fontana, su progetto dell’architetto Massimi, fu incastonata in un’edicola di pietra sperone, e fu successivamente dismessa quando venne realizzata la Fontana dell’Angelo. Quest’ultima è collocata in piazza Mastrofini, nella parte bassa del comune, nel cosiddetto Borgo della Prata, da cui si apre una stupenda passeggiata fiancheggiata da secolari lecci, specie arborea autoctona dei Castelli che qui sopravvive, oltre che in alcune “terrazze sull’infinito”, e che in molti altri comuni dei Castelli è stata sostituita dal castagno.
Quasi 10 mila abitanti; orgini pre-romane; un dialetto, quello monticiano, che conserva ancora molte parole latine, una realtà che va ad essere integrata da culture diverse: soprattutto nel Ghetto si concentrano, infatti, numerosi residenti immigrati, provenienti per la maggior parte dalla Romania, che contribuiscono a una crescita demografica senza soluzioni di continuità nonché a fornire manodopera all’agricoltura ed edilizia locale.
Una comunità aperta, anche a un gemellaggio con la Calahorra (Spagna), capace di contaminare usi e costumi; una comunità che ama i suoi luoghi e che vuole conservarli, anche nel cambio dell’utilizzazione di alcuni spazi caratteristici, come avviene per le grandi cantine che spesso, vengono trasformate in luoghi di richiamo turistico o in spazi di aggregazione per associazioni.
Nella parte più antica e più alta (poco più di 500 mt) insiste il cosiddetto Borgo del Ghetto, con una piccola e raccolta piazza a cui si accede dal sistema della piazza del Duomo, di origine seicentesca e ampliato nell’ottocento.
Un centro storico, dunque, che vede una molteplicità di presenze di “stili” urbani, ma compatti e ordinati; colpisce il senso di austerità che proviene dall’organizzazione edilizia, dalla tessitura e dal colore dei materiali.
Anche se lo stato di conservazione dei manufatti non è perfetto e presenta alcune discontinuità, si avverte un senso di cura sia da parte degli abitanti che da parte dell’amministrazione – alcuni lavori di sottoservizi e di ripavimentazione stradale sono in corso – che si esplicita anche nell’intenzione, recentemente espressa, di realizzare nel centro storico un centro commerciale naturale.
Tre anelli gli girano intorno formando e definendo gli strati storici. Il primo è quello delle vecchie mura medioevali, di cui sono rimaste poche tracce, che racchiude il Borgo del Ghetto; il secondo è la via Placido Martini e la via Carlo Felici ancora interna al centro storico; la terza è costituita da viale Cavour, viale Europa e via Adolfo Croce che lo lambiscono ai margini del nuovo.
Tra gli ultimi due anelli esiste una serie di comunicazioni che si realizzano attraverso un sistema di scalette ricorrenti: sulla via Placido Martini si aprono una serie di portali da cui partono le scale, che aprono mirabili visuali verso la campagna. Quando il tempo è sereno è un vero spettacolo per gli occhi, Palestrina, i Monti Simbruini, le prime propaggini delle catene montuose dell’Abruzzo e la Valle del Sacco. Queste visuali si aprono anche in quelle “terrazze sull’infinito” che sono presenti in quasi tutti i Castelli Romani, ma mai con la frequenza con cui si presentano a Montecompatri, inducendo nel visitatore un senso continuo di sorpresa che si apre tra i vicoli.
Quando c’è la nebbia, le visuali sulla campagna scompaiono in una sorta di manto ovattato di cui appare ammantato tutto il centro storico; allora a governare le emozioni è come un senso di isolamento in cui il centro stesso appare immerso nel distaccarsi dalla terra.
La storia di Montecompatri è anche una storia di acqua, di cui per primo si fece protagonista Scipione Borghese, nipote di Paolo V, a cui il Papa affidò il Principato di cui faceva parte Montecompatri e che derivava dalla trasformazione, tramite Bolla, del vecchio feudo.
Una storia che ha visto il trasporto dell’acqua dalla valle fino al Borgo del Ghetto attraverso una serie di gallerie e di fontane. La prima fu la vasca in sperone – splendido materiale vulcanico che “colora” molti edifici, ornati e portali del centro storico – che portò l’acqua dalla Molara davanti al palazzo Borghese, la cui edificazione fu iniziata dagli Altemps. Nel 1852 la fontana, su progetto dell’architetto Massimi, fu incastonata in un’edicola di pietra sperone, e fu successivamente dismessa quando venne realizzata la Fontana dell’Angelo. Quest’ultima è collocata in piazza Mastrofini, nella parte bassa del comune, nel cosiddetto Borgo della Prata, da cui si apre una stupenda passeggiata fiancheggiata da secolari lecci, specie arborea autoctona dei Castelli che qui sopravvive, oltre che in alcune “terrazze sull’infinito”, e che in molti altri comuni dei Castelli è stata sostituita dal castagno.
Quasi 10 mila abitanti; orgini pre-romane; un dialetto, quello monticiano, che conserva ancora molte parole latine, una realtà che va ad essere integrata da culture diverse: soprattutto nel Ghetto si concentrano, infatti, numerosi residenti immigrati, provenienti per la maggior parte dalla Romania, che contribuiscono a una crescita demografica senza soluzioni di continuità nonché a fornire manodopera all’agricoltura ed edilizia locale.
Una comunità aperta, anche a un gemellaggio con la Calahorra (Spagna), capace di contaminare usi e costumi; una comunità che ama i suoi luoghi e che vuole conservarli, anche nel cambio dell’utilizzazione di alcuni spazi caratteristici, come avviene per le grandi cantine che spesso, vengono trasformate in luoghi di richiamo turistico o in spazi di aggregazione per associazioni.
Si ringraziano Amalia Dominicis e Giovanni Schina – Segeretaria e Direttore dell’ArcheoClub di Monte Compatri per la cortese e preziosa collaborazione offerta alla stesura del presente articolo
scritto da Manuela Ricci |
Per la rubrica Centri Storici – Numero 78 febbraio 2009